Arrigo, detto anche Enrico da Bolzano, nato intorno al 1250 a Bolzano e morto il 10 giugno del 1315 a Treviso, è un beato del Tirolo ed è anche il patrono, festeggiato proprio il 10 giugno, anniversario della sua morte, nella città di Bolzano. Della vita di questo beato, che in tedesco viene chiamato Heinrich von Bozen, in realtà non si sa molto, c’è solo qualche ricordo scritto e alcune leggende orali. Alcuni sostengono che non è certo che si tratti proprio della nostra Bolzano dell’Alto Adige ma Boccaccio dice affermava che era di origini tedesche e non esistono altre città chiamate Bolzano che siano tedesche in Italia. Nacque intorno al 1250 e condusse a Bolzano una vita dura come povero operaio analfabeta.



Enrico aveva dimora nella località di Biancade, nelle vicinanze della strada che allora era detta Lagozzo, ossia l’antica sede della via di Claudia Augusta: qui per oltre vent’anni fece sia il boscaiolo che l’uomo di fatica. In un’epoca che non è precisata poi si trasferì, durante il ritorna da un pellegrinaggio fatto a Roma, nella città di Treviso insieme alla moglie e al figlio. Ma, in seguito alla loro morte, visse da solo in un bugigattolo scuro, in via Antonio Canova, che un notaio gli aveva messo a disposizione: oggi nei suoi pressi si trova la chiesa dedicata a lui. Nei suoi ultimi anni visse in estrema povertà accettando le elemosine: in realtà non mendicava per sé ma principalmente per i poveri della città.



Enrico inoltre si impegnava in particolare, con molto coraggio e tanta costanza, a strappare ai vari nobili e ai commercianti ricchi della città dei consistenti contributi da donare alle persone più sfortunate. Lo stesso vescovo e anche il signore più importante della città non rifiutavano mai di dare a Enrico il loro aiuto economico. Sia a Bolzano che a Treviso fu sempre ammirato come un assiduo frequentatore delle chiese e ascoltatore di Messe. A Treviso era solito visitare tutti i giorni ogni chiesa esistente in città. Fu ancora più ammirevole la sua vita come penitente: Enrico dormiva su di un giaciglio duro, indossava un saio ruvido e praticava delle lunghe veglie pregando. Quando morì, solo nella cella, i cittadini di Treviso sostennero che a morire era stato un santo. I suoi funerali furono accompagnati da un lungo corteo de popolo e anche da strepitosi prodigi. Per più di un anno vi furono molti pellegrinaggi che portarono da varie città vicine moltissime persone nei luoghi del poverello, tra cui l’arca che fu collocata su di un altare nel duomo a Treviso.



Una commissione registrò in breve tempo suoi trecentoquarantasei miracoli, in genere guarigioni, per deposizione dei testimoni oculari. Uno di questi testimoni fu il suo biografo, un certo Pier Domenico di Baone, che più tardi fu vescovo di Treviso. Le ricognizioni delle sue reliquie furono nel 1381 e poi nel 1712; un’insigne reliquia di Enrico fu portata nel 1759 a Bolzano e ancora oggi viene venerata nel duomo. Il culto di beato Enrico da Bolzano, protettore dei boscaioli, fu approvato dal papa Benedetto XIV nel 1750 per quanto riguarda la diocesi di Treviso e poi all’inizio dell’ottocento da Pio VII per la diocesi di Trento, da cui Bolzano dipendeva. Del misterioso risuonare delle campane per la sua morte anche il sommo Gabriele D’Annunzio parla. Il beato diventò popolare in ogni zona soprattutto dell’Italia del Nord, in cui gli furono dedicati molti altari e affreschi nelle chiese, come ad esempio della Santa Toscana di Verona.