Dovremmo esaltarci per i traguardi della scienza, benedire le capacità dell’intelligenza dell’uomo, quando riesce a scoprire l’impensabile, quando riesce a realizzare l’impossibile. Avete letto di quella donna, in Belgio, cui è stato trapiantato, a 27 anni, l’ovaio che le era stato tolto a 13, e congelato per sottrarlo a una cura che l’avrebbe reso infertile. E che ha dato alla luce un bambino. Fantastico. Una ragazzina con una malattia così grave da impedirle quel che più è futuro per una donna, cioè un figlio. E questo azzardo della medicina, che ha sperimentato su di lei una possibilità straordinaria, utilizzando quelle tecniche, quella parola – congelamento – che di solito sentiamo e leggiamo applicata alla manipolazione dell’uomo, ridotto a tessuto, cellula da “lavorare” in laboratorio. I tessuti sono così vivi, che dopo 14 anni permettono la vita. I tessuti sono marchiati di noi, portano il segno della nostra identità. Se lo è un ovaio, figuriamoci il frutto di quell’ovaio, foss’anche una cellula sola, ancor più un grumo di cellule, un embrione, un feto. Non pezzi da montare e smontare, ma vita da custodire, e per generare altra vita. Eccezionale. Beato lo scienziato che sa rischiare, osare tanto per cercare il bene, di una ragazza e della scienza. Non c’è progresso se il fine non è l’uomo, non c’è limite se non pensando al bene dell’uomo, e il bene può chiedere di porsi limiti, di fermarsi. Almeno per prudenza, per rispetto di quel che non sappiamo.
Quel che è accaduto in Belgio è la frontiera che apre le porte alla speranza per tantissime donne, che spalanca altre strade per sperimentare salvezza agli uomini. Proprio nel cuore di quest’Europa che si affanna a considerare i figli un diritto, un possesso, che ritiene lecito quel che è “libido”, direbbe Dante, ovvero desiderio, non importa se distorto, o ridotto, perché un figlio non è mai per sé, non è mai un possesso da acquisire, a tutti i costi. E che della somma di tante libido fa leggi, decretate a maggioranza, come se non si trattasse di noi, del modo di concepire chi siamo e il nostro destino.
Nella parola desiderio c’è però un brivido di infinito, di mistero, un’apertura, quando spesso quel che alberga nel dcuore e determina leggi è solo pretesa, soddisfazione, rivalsa, ovvero l’occhio puntato su di sé, egoismo. E invece, quel grappolo di ghiandole appena sviluppato e pronto per il suo compito, generare, essere mezzo di maternità, si è mantenuto vivo, vitale, accogliente, in attesa, per 14 lunghissimi anni, in silenzio, senza mai spegnersi. E insperabilmente, o sperabile solo come eccezione (quasi miracolo) risvegliato, è diventato nido per un bambino.
C’è da rimanere abbacinati da quel che diamo troppe volte per scontato. Che l’uomo sia così grande. Che ci sia cioè una corrispondenza tra la realtà, di qualunque tipo, e la nostra ragione. Non è così scontato che l’uomo sappia leggere le cose e trasformarle. Siamo impotenti su tante cose. Siamo un nulla che ha un potere così grande. Siamo così speciali, abbiamo un’immaginazione e una capacità creativa così stupefacenti, sappiamo operare con tale ricchezza di frutti. E più siamo in possesso di segreti e conoscenza più cresce la nostra possibilità di bene, e di male. C’è da avere tremore davanti all’uomo, che è così grande, e così avido, gretto, da usare la sua grandezza per snaturare la sua umanità, per creare mostri.
Non è la prima volta che la scienza deve interrogarsi sul suo compito, cioè sull’etica. E’ il dramma di ogni scienziato. Per questo bisogna vigilare, continuamente chiederci cosa vogliamo per davvero, per noi e per i nostri figli. Se quel che vogliamo è buono. E’ giusto. E’ lecito. Per poter soltanto gioire, quando una nuova scoperta si aggiunge a gloria dell’uomo, senza avere paura di quel che potrà diventare.