Caro direttore,
chiedo ospitalità al sussidiario per intervenire nel dibattito aperto dall’editoriale di Giorgio Vittadini pubblicato con il titolo Il potere e la gloria e proseguito con gli interventi di Benedetta Frigerio e Lorenza Violini, fissando quattro brevi osservazioni.
1. Al pari della discussione su inizio e fine della vita, il dibattito su matrimonio e famiglia ha per oggetto regole destinate a disciplinare il vivere comune degli uomini. La questione ha, quindi, carattere giuridico. Nelle espressioni tradizionali del diritto romano, ius hominum causa constitutum est: il diritto è posto per regolare i rapporti tra gli uomini.
In qualsiasi ordinamento, tuttavia, le regole giuridiche sono l’esito di una scelta tra diverse soluzioni possibili, la quale, a sua volta, dipende da un’opzione di valore. All’origine di ogni regola giuridica esiste, pertanto, una scelta politica e, più profondamente, un’opzione filosofica su ciò che è bene. Tale opzione filosofica è comunemente identificata con il termine “etica”. In questa prospettiva, per sua natura la discussione su matrimonio e famiglia ha carattere politico e riguarda valori etici.
Diversa questione è quale sia il valore etico da cui far dipendere la scelta politica e come lo si possa conoscere in una società pluralista e incline a pensare che l’uomo non sia capace di verità. L’enfasi sulla libertà e sul consenso democratico sono, al riguardo, la risposta più comune.
2. Alla luce di queste osservazioni, l’editoriale intitolato Il potere e la gloria contiene affermazioni che richiedono alcune precisazioni.
Sotto un primo profilo, censurare coloro per i quali «affermare valori morali sembra prioritario rispetto al cambiamento profondo che il fatto cristiano produce» non coglie il punto. Se le scelte giuridiche presuppongono necessariamente un’opzione filosofica su ciò che è bene, i valori etici sono, al fondo, l’oggetto proprio della discussione. In parole diverse, se la discussione è politica, è di politica che occorre parlare.
Per altro verso, contrapporre «improbabili battaglie a colpi di valori etici» a testimonianze capaci di mostrare «la forza dell’annuncio cristiano, novità assoluta capace di rinnovare l’uomo e di fargli riscoprire la convenienza umana e le ragioni di una morale davvero corrispondente» non riesce a spiegare il ruolo della religione nel dibattito pubblico. Se la discussione riguarda le regole per il vivere comune, è il nesso tra la novità dell’annuncio cristiano e le scelte etiche a fondamento di tali regole che deve essere illuminato. In parole diverse, quale è il contributo che l’annuncio cristiano può dare per identificare le scelte etiche più adeguate per il vivere comune?
3. Un aiuto a rispondere a una simile domanda è offerto da un passaggio del discorso pronunciato da Benedetto XVI a Westminster Hall, nel settembre 2010. Dopo aver ricordato che, secondo la tradizione cattolica, «le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione», Benedetto XVI ha chiarito il ruolo della religione nel dibattito politico: non tanto «fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti», quanto, piuttosto, «aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi», secondo un «profondo e continuo dialogo» tra il mondo della ragione e il mondo della fede, «per il bene della nostra civiltà».
Altrettanto utile un passaggio di un articolo pubblicato nel 1996 dall’allora card. Ratzinger, intitolato Verità e libertà. Acutamente rilevando i limiti delle attuali forme democratiche nell’assicurare la libertà, l’articolo identifica la chiave di un’adeguata relazione tra gli uomini nell’idea di una «verità comune di un’unica umanità, presente in ogni persona» e che «la tradizione chiama “natura”», precisando come il diritto sia, nel contempo, espressione e condizione di tale relazione adeguata.
4. Una simile impostazione è chiamata a essere declinata nell’esercizio di una libertà responsabile, secondo la virtù che il Catechismo della Chiesa Cattolica chiama «prudenza» e intende, seguendo san Tommaso, come «retta norma dell’azione».
In questa logica, una manifestazione pubblica diretta a esprimere pubblicamente un valore etico su matrimonio e famiglia può essere, oppure no, una modalità adeguata; in modo analogo, l’atteggiamento da assumere nei confronti di proposte di legge non è per forza monolitico, potendo essere intelligentemente proporzionato alla situazione. Indispensabile è, in entrambi i casi, una argomentazione ragionevole, che faccia ricorso a espliciti criteri di verificabilità.
In nessun caso, invece, si può arrivare a eludere il problema. Ne andrebbe della ricerca della verità e della responsabilità — come uomini e come cristiani — per la convivenza sociale e il bene della nostra civiltà.
Andrea Perrone