Il papa ha scritto l’attesa enciclica, e l’incipit riprende il primo suono della nostra dolce lingua, tra i suoi versi più amati, dei suoi nomi più amati, San Francesco. Il nuovo Francesco richiama l’antico, e comincia la sua meditazione sul creato, sulla terra dono dell’uomo, di tutti gli uomini, da far fruttare e amare come segno dell’amore immenso che ci ha voluti qui ed ora, insieme. Il documento, lungo, oltre 190 pagine, sarà presentato al mondo giovedì 18 giugno, con la partecipazione esclusiva di un grande teologo ortodosso, Joannis Zizioulas, che rappresenta Bartolomeo I. In un tempo in cui i due grandi polmoni della cristianità, oriente e occidente, non sono mai stati così vicini, l’amicizia tra il Patriarca ecumenico di Costantinopoli e il Pontefice di Roma ha generato un unicum, la prima enciclica ispirata da un altro esponente della fede cristiana, la prima enciclica interamente centrata sul rapporto tra uomo e natura.
Non sull’ambiente, o sull’ecologia, come dicono superficialmente: la cura del creato è oggetto della teologia e della dottrina cristiana da qualche secolo prima che l’ecologia diventasse di moda. E come ben cita Francesco, già altri sui predecessori hanno ricordato il compito di custodia e sollecitudine affidato agli uomini, perché la natura non sia maligna, e basti per tutti.
Dunque, novità d’interesse, pompate dalla sovraeccitazione mediatica per qualsivoglia apparizione o parola di Francesco, soprattutto quando viene utilizzato da quella tendenza dominante alla “colonizzazione culturale”, come con definizione calzante ha espresso il papa la sua preoccupazione per un’antropologia malata e soggetta a poteri immemori, se non nemici, dell’uomo. C’è un problema, però: l’enciclica era sotto embargo, come normalmente avviene per testi così importanti. Eppure il testo appare con tanto di firma in calce e stemma pontificio d’apertura sull’Espresso, di questa settimana, ripreso da autorevoli siti che si occupano di Vaticano.
Padre Lombardi portavoce della Sala Stampa Vaticana, si è affrettato, col consueto stile pacato, a correggere: si tratta di “un testo italiano di una bozza dell’Enciclica, non del testo finale”, invitando a rispettare “la correttezza giornalistica”. Ora, padre Lombardi è un giornalista. Sa bene, senza ingenuità, che i giornalisti hanno un solo obiettivo e un solo imperativo, pubblicare una notizia, ovvero qualcosa di nuovo, di non noto. A qualunque costo? Normalmente sì. E’ per questo che si intralciano le indagini della magistratura, che appaiono fotografie propagandistiche dell’orrore, che si mettono alla gogna i nemici politici, eccetera. Anche. Ma è per questo che vengono svelati intrighi d’infamia e d’illegalità, di sfruttamento e di ingiustizia legale e non. Poi c’è la coscienza, che dovrebbe normare l’etica, a ciascuno la sua. Guai a troppe norme che irreggimentino e imbriglino la libertà d’espressione.
Quanto alla soffiata enciclica, tocca riflettere su un paio di cose: chi ha avuto in mano quel testo, perfezionato o no, pare ben informato, ci informa della sua gestazione faticosa e delle creazioni continue e dell’ultim’ora. Poteva non pubblicarlo? Difficile crederlo. Pensava che in questo modo avrebbe danneggiato perlomeno fatto uno sgarbo al papa? Non si sa. E’ possibile, con quanto abbiamo visto e udito in anni recenti, di sì e di no. Lo capiremo leggendo l’enciclica approvata e diffusa al mondo domai mattina, c’è poco da aspettare.
Se non si discosterà molto dalle pagine che tutti possono leggere on line, si sarà trattato di un dispetto fatto all’apparato comunicativo del papa, se invece le divergenze saranno significative concluderemo che la fretta è stata cattiva consigliera, e avrà screditato la testata che ne è stata preda. Ma c’è dell’altro, che più conta: com’è arrivato quel testo alla stampa, all’Espresso, anzitempo? Qualcuno l’avrà passato. E a fin di bene, per regalare entusiasmo ai lettori fedeli? A pensar male si fa peccato, ma spesso ci s’azzecca, diceva quel tale. Un dispetto, così, per celia, o il rimarcare che le stanze, anche se a Santa Marta, continuano ad essere poco sicure, penetrabili come il groviera, per mancanza di controllo, o per preclusa volontà di eluderli, i controlli. Un specie di avvertimento?
Detto questo, dopodomani si leggerà e interpreterà la parola di Francesco, il primo testo di un’enciclica interamente di suo pugno, pensato con autorevoli collaboratori esperti. Per leggerla, dunque, vale la pena aspettare 24 ore, e avere tra le mani il testo sicuro.
Ho dato però una sbirciatina, tanto per assaggiare. E’ un testo poetico. Che trasuda un amore appassionato alla realtà, un’attenzione minuziosa alle sue forme, uno stupore non infantile, ma consapevole delle meraviglie che l’uomo ha davanti ai suoi occhi; una voce profetica sui pericoli, se l’uomo rinuncerà alla sua vocazione: guidare la natura, usarla per il bene comune, unirsi in una sfida globale per “lavorarla”, secondo criteri di politica ed economia più umani; uno sguardo di speranza e di meraviglia sul mistero dell’universo, sulla possibilità della ragione di esplorarlo e conoscerlo, senza protervia, senza volontà di dominio, che non sia per l’uomo stesso.
Chissà se si riuscirà a leggerla, quest’enciclica, lasciandosi portare dal filo che aveva in mente il papa, senza stiracchiarlo dall’una o dall’altra parte. Non è mica chiesto di essere d’accordo. Per chi è credente, è magistero della Chiesa; per chi non lo è, traccia di pensiero di un uomo che è autorità, tra le poche che ci sono rimaste.