Oltre 100mila testi postati su blog e social network sul tema dei matrimoni omosessuali e dei diritti delle coppie gay dopo il referendum irlandese: su questa valanga di pronunciamenti lo spin-off dell’Università di Milano Voices from the Blogs ha pubblicato un’indagine per comprendere gli orientamenti dell’opinione pubblica (o almeno di quella parte che usa la tastiera). I risultati non lasciano adito a dubbi: quasi l’85% dei pareri espressi è favorevole al riconoscimento dei matrimoni omosessuali, e le ragioni addotte rimandano, principalmente, alla tutela delle libertà individuali e al riconoscimento dei “diritti civili”. Fin qui, si potrebbe dire, niente di nuovo.



Le osservazioni più interessanti emergono, però, quando si guarda alle precedenti indagini sullo stesso tema, richiamate nel report di Voices. Nel passato recente è stato più difficile distinguere, nelle conversazioni in internet, il tema dei matrimoni omosessuali da quello del riconoscimento delle coppie di fatto o della istituzione dei registri delle unioni civili. Ora invece, complice anche il referendum in Irlanda, il dibattito sembra più nettamente concentrato sulla questione del matrimonio e dell’estensione dello status di famiglia alle unioni omosessuali. E il consenso su questo specifico aspetto sembra notevolmente cresciuto.



Il tema della famiglia porta con sè, inevitabilmente, il tema delle adozioni. Su questo fronte, la Rete si è sempre rivelata più fredda, mostrando di distinguere tra la volontà di vedere riconosciute diverse forme di convivenza e l’opportunità di affidare l’educazione e la cura dei minori a comunità diverse dalla “famiglia tradizionale”. L’indagine indica, invece, che anche questa opinione sta (e neppure troppo lentamente) mutando: dal 21% di favorevoli alle adozioni da parte di coppie gay negli anni 2012 e 2013 si passa al 37% dei giorni nostri.

L’evidenza si presta ad almeno due interpretazioni che – più facili da conciliare sul piano teorico – suggeriscono tuttavia prassi comportamentali differenti. Si può ritenere che la progressiva diffusione e radicalizzazione di una cultura laicista siano alla base dell’affermazione di modelli di convivenza e di educazione che non riconoscono le specificità valoriali della famiglia tradizionale. Si può addirittura pensare che questo sia un episodio di un più ampio “scontro di civiltà”, nel quale le forme di vita collettiva prodotte dalla cultura cristiana sono messe in minoranza anche attraverso attacchi meditati e azioni di lobbying.



Questa diagnosi porta con sé, comprensibilmente, il richiamo alla mobilitazione a difesa delle espressioni della cultura cristiana, nelle forme della protesta pubblica e – nel caso di specie – della richiesta di una maggiore tutela giuridico-istituzionale della famiglia tradizionale. D’altro canto, si può anche ritenere che questa deriva sia l’esito (per quanto paradossale e indesiderato) di una fase di battaglie “a difesa” dei valori cristiani e delle loro espressioni individuali e collettive, che hanno messo in ombra (anche qui, in modo del tutto involontario) la bellezza delle forme di vita individuale e sociale generate dal cristianesimo, rendendone più opaca e meno immediata la comunicabilità. 

Si sarebbe, cioé, sostituito un confronto serrato di opinioni (che hanno la fatale caratteristica di essere giuste o sbagliate, ma non necessariamente “belle”) alla testimonianza di quanto – come ha scritto più di un autorevole teologo – la vita cristiana sia “conveniente”, cioè più bella da vivere, prima ancora che più giusta. Il tutto (sia detto per l’ultima volta) in maniera nient’affatto pianificata o preventivata.

E non serve a sciogliere il dubbio la constatazione che la sconfitta culturale sui matrimoni omosessuali e quella che rischia di profilarsi sul delicato tema delle adozioni arrivino, buone ultime, dopo diversi segnali di debolezza (grazie a Giuseppe Frangi per aver riportato la sua personale esperienza dopo il referendum sulla 194) nella capacità di interloquire con una società in tempestoso cambiamento.