“Dio ha prospettato il piacere della beatitudine futura come il più grande incentivo alla virtù; il diavolo ha astutamente pensato che il piacere poteva diventare un forte sprone per la colpa. Esempio di tutto ciò è Adamo, capostipite del genere umano: posto dal Signore Dio nel paradiso delle delizie per godere un piacere senza fine, che avrebbe spinto alla virtù anche i suoi discendenti, egli stesso fu ingannato per mezzo della bellezza del serpente, che aveva persuaso la sua donna. Così quello che, per grazia divina, era stato donato per la vita, mi si trasformò in fonte di morte. Infatti il Signore provava diletto per le sue opere; a Lui piacquero gli inizi della creazione, tanto che, vedendoli, esclamò: sono cose molto buone!”
Questo splendido brano con cui sant’Ambrogio apre il suo commento ai Salmi mi è subito venuto alla mente, non appena ho avuto tra le mani — dono di un’amica venuta a confessarsi — l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’. Sfogliando l’indice, compulsando le prime pagine e l’inizio dei vari capitoli, mi sono infatti sorpreso immediatamente a respirare a pieni polmoni un’aria forte e corroborante come quella delle vette alpine o della riva del mare al mattino, la stessa aria che permetteva a sant’Ambrogio di descrivere Dio che prova diletto davanti a una Creazione pensata come il primo e più grande dono da fare alla Sua creatura prediletta, l’uomo maschio e femmina fatto a Sua immagine e somiglianza.
Non si può avere una prospettiva angusta per leggere questo testo. Le due splendide preghiere conclusive ci impongono di partire dallo sguardo di Dio all’alba del tempo e della storia, da quella sovrabbondanza indescrivibile di gioia e di amore condivisi tra Padre, Figlio e Spirito, da cui ha avuto origine ogni cosa. E con questa visione della fede nel cuore, sant’Ambrogio non aveva timore — una volta riconosciuto il bene della creazione e perfino lo scopo salvifico originario del piacere (forse la più pervertita in assoluto tra le cose create da Dio, fino al punto che tanti credenti lo guardano sempre con sospetto, come se fosse del tutto irredimibile) — di guardare dentro tutta la povertà e il disastro del peccato dell’uomo, senza tuttavia rinunciare a leggere tutta la storia della salvezza come la volontà di Dio di reparare et reformare (riparare e ricreare) la bellezza e il piacere nella loro originaria caratteristica di dono per la vita.
Allo stesso modo, Papa Francesco non teme di guardare nel profondo della separazione tra l’uomo e il creato, per metterne in luce il carattere di conseguenza e testimonianza inoppugnabile della separazione dell’uomo da Dio, di alienazione dell’uomo da quella dimora che per prima avrebbe dovuto parlargli di Chi è all’origine e alla fine — cioè ne è il Destino — della sua vita.
Chi conosce appena un poco gli scritti, la vita e la spiritualità profondamente cristocentrica di san Francesco, sa quanto superficiali e fuorvianti siano alcune letture che ne fanno il primo santo “verde” della storia. Ma proprio per questo non può non riconoscere che lo sguardo del Poverello d’Assisi — peraltro morto quasi cieco! — sul creato era colmo di tenerezza e commozione perché era lo sguardo di chi nel creato riconosce la presenza e la potenza della Resurrezione di Cristo, la luce del mattino di Pasqua che rigenera ogni cosa e che la Scrittura e la liturgia della Chiesa ci presentano come una nuova creazione, come un nuovo “primo giorno”.
Anche l’enciclica Laudato si’, fin dalla prima lettura, si mostra dominata da questo stesso sguardo. Uno sguardo che non può mai astenersi dal proclamare che l’uomo è fatto per condividere la medesima pienezza di vita del Suo Creatore. E che proprio per questo sa guardare dentro ogni povertà e miseria, non per restare in esse avviluppato, ma per annunciare fin “nel profondo degli inferi” la realtà della Risurrezione, che diviene attraverso la Fede una concreta possibilità per ogni uomo, in un cammino da cui nessuno può essere escluso.