Il 24 giugno la vicenda di Medjugorje compiva trentaquattro anni e all’approssimarsi di quello che sembra essere il pronunciamento ufficiale della Chiesa, giornalisti, network e blog diffondevano la voce che se il pronunciamento fosse stato negativo si sarebbe rischiato lo scisma. Perché si usano queste parole? Se sei credente e cattolico, perché non taci e semmai inviti alla preghiera e all’unità col Papa? Se credi davvero che la Chiesa malridotta sia stata rimessa in piedi dalla Madonna che appare in una piccolissima e povera località della Bosnia, perché non mostrarti “figlio della pace” e approfittarne per farti pervadere un po’ di più da quella Pace di cui Maria è Regina? Ci sarà tempo per esprimere pareri e desiderata. Per ora, non solo non si conoscono le decisioni del Papa né le eventuali motivazioni, ma neppure si sa quando ci saranno. Attendiamo. Perché non riusciamo a stare uniti almeno il tempo di un’attesa? Ascoltiamo la decisione del Papa e poi diremo: anzi pregheremo e poi diremo. 



Una delle frasi che più rimbalzano è quella di Casa Santa Marta di pochi giorni fa, quando il Papa diceva “la Madonna non manda emissari”. Noi invece invece mandiamo veline ai giornali sperando che arrivino sui tavoli di chi deve decidere. La Chiesa non ha dinamiche politiche, partitiche. Uno scisma è una cosa seria, dolorosa, non bisogna neanche pronunciarne la parola. Quando una moglie dice al marito che se le cose non cambiano se ne va di casa, dice un cosa brutta: una di quelle che non si devono dire. Uno scisma non è come cambiare posto a Montecitorio. Non è da buoni cristiani, non è da cristiani, dire a Pietro che non si rende per bene conto di cosa sta succedendo nella barca e lo si avvisa di cosa si deve portare in barca per il bene del suo gregge. In barca, quando c’è da prendere una decisione, comanda uno e tutti obbediscono, se no ci rovesciamo tutti. 



Ripeto: aspettiamo, attendiamo, preghiamo, restiamo uniti, ascoltiamo. Il Papa ci chiede di stare con Lui come quando da bambini papà ci faceva attendere fuori dalla stanza dei grandi e lui invece entrava a sentire cosa era successo perché poi si doveva decidere. Essere come bambini, essere come pecore non è difficile nel momento che lo predichiamo agli altri, ma è difficile quando siamo noi che dobbiamo attendere fuori le decisioni di chi ci è padre. Il Papa sta decidendo. Attendiamo che torni a dirci cosa fare e dove andare e poi rifletteremo e commenteremo. Uniti. Ancora più cosa buona lasciare al proprio padre le decisioni che a lui competono, quasi mai piccole.



Perché? Perché è così che si ama, si rispetta e, più prosaicamente, è così che si fa con le persone e con il loro “lavoro”. Lo si rispetta. Le si rispetta. Nessuna pressione indebita.

È così delicato l’equilibrio degli animi e delle menti nell’attesa. Lo sappiamo quando aspettiamo una diagnosi importante per la nostra salute. È meglio sapere cosa abbiamo piuttosto che rimanere nell’incertezza degli esiti di esami e visite. È meglio leggere nero su bianco un responso che scrutare il volto del dottore in attesa che parli o scriva. Siamo in un momento così: taciamo, preghiamo, e rimaniamo uniti.

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"