C’è qualcosa di nuovo che ancora non conosciamo sulla povertà in Italia? Non se ne è già parlato abbastanza? Ci sono dati inediti per fare colpo su un’opinione pubblica distratta, ma affamata di emozioni passeggere? Quale è insomma la “notizia” che giustifica l’attenzione di un quotidiano? Sono domande ricorrenti a cui i ricercatori sociali debbono saper rispondere per ottenere udienza presso i media e il loro vasto pubblico. La ricerca Food poverty, Food Bank – che sarà presentata oggi (30 giugno) all’interno di Expo – risponde a tutti questi interrogativi e riserva qualche novità, senza puntare ad alcuno scoop.



In primo luogo ci concentra sulla “povertà alimentare” in Italia, un fenomeno che molti ancora considerano marginale e “impensabile” in un paese sviluppato, mentre ha una diffusione preoccupante, tanto più se pensiamo alla grande quantità di cibo di buona qualità che ogni giorno finisce nelle nostre discariche domestiche e collettive. Le statistiche ufficiali più recenti (riferite all’anno 2013) indicano che in Italia ci sono 6 milioni e 28 mila persone in “povertà assoluta” tra le quali si contano 5 milioni e 500 persone in vera e propria “povertà alimentare”; in quest’ultimo caso si tratta di un dato inedito, stimato sulla base di una metodologia innovativa messa a punto per questa ricerca.



La scarsità alimentare sperimentata da milioni di residenti nel nostro paese, convive con l’abbondanza e con lo spreco di prodotti alimentari ancora utilizzabili che potrebbero essere recuperati e a redistribuiti a chi ne ha bisogno. E’ su questo versante che operano da decenni centinaia di “food bank” avviate negli Stati Uniti negli anni ’60-70 del secolo scorso e presto approdate anche in Europa dove attualmente operano 264 “banche alimentari” affiliate alla Feba (Fèderation Européene des Banques Alimentaires).

Alla luce del ruolo strategico assunto dalle Food bank in Europa e nel mondo non sorprende che tra le 68 best practices premiate da Expo 2015 figuri l’esperienza della Fondazione Banco Alimentare onlus che ha alle spalle 26 anni di attività sviluppate attraverso la collaborazione di 21 organizzazioni regionali direttamente collegate (OBA), con cui forma la Rete Banco Alimentare (RBA). Il premio conferito dalla Giuria internazionale incaricata di vagliare centinaia di candidature ha il sapore di un duplice riconoscimento: al valore delle food bank, dal punto di vista metodologico e pratico, e al valore della via italiana allo sviluppo di questo strumento, in un contesto finora privo di organiche politiche di contrasto della povertà nel nostro paese.



Tra le notizie indite sul fenomeno della povertà alimentare in Italia merita segnalare che il 24% di tutti gli indigenti (1 milione e 300 mila unità) è formato da minorenni (bambini e adolescenti) con una incidenza nelle singole regioni (altro dato inedito) che varia tra il 4,8% nel Trentino Alto Adige e il 24,6% in Calabria: imprevisto e preoccupante è il dato della Lombardia, dove 13 minorenni su 100 vivono sotto la soglia di povertà alimentare. 

Rispetto al 2007 (l’anno precedente all’esplosione della “grande crisi”) nel 2013 l’incidenza della povertà alimentare tra le famiglie è più che raddoppiata (dal 3% al 6,8%) con un aumento in valore assoluto di 1 milione di unità. Anche i confronti con gli altri paesi europei riservano amare sorprese per l’Italia dove il 14,2% delle famiglie residenti dichiara di non potersi permettere un pasto proteico ogni due giorni (povertà alimentare soggettiva): un dato superiore a quello della Grecia (13,8%) anche se molto lontano dal primato negativo della Bulgaria (51,1%) e dell’Ungheria (33%). Se concentriamo l’attenzione sulle coppie con 3 o più figli a carico vediamo che l’Italia raggiunge il primato negativo rispetto alla media dell’Unione Europea (25,2% vs. 11,9%) con valori assai vicini alla situazione dei nuovi stati membri (12 paesi) attestasti sul 28,6%. E’ di tutta evidenza che l’Italia sconta su questo punto la mancanza di efficaci politiche di sostegno al reddito delle famiglie più numerose, insieme al basso tasso di occupazione e di attività delle famiglie con figli.

Le analisi sviluppate nella ricerca Food poverty, Food bank, resa possibile grazie al contributo di Fondazione Deutsche Bank Italia e al contributo tecnico di PwC, si collegano metodologicamente a quelle contenute nel Primo Rapporto sulla povertà alimentare in Italia (Campiglio, Rovati 2009) di cui rappresentano un approfondimento, in uno scenario economico e sociale molto diverso da quello precedente. Il Primo Rapporto si confrontava con una situazione anteriore alla crisi del 2008, di cui non erano ancora evidenti i drammatici effetti sulla vita quotidiana dell’intera società italiana. Questo “secondo” rapporto si colloca invece a valle di quella grande crisi, registrando la persistenza dei sui effetti negativi sulla parte più fragile della popolazione italiana, coincidente con quanti si trovano in povertà assoluta: una popolazione diventata sempre più numerosa negli ultimi 5 anni e sempre più formata da adulti in età di lavoro e da figli in minore età.

Come già nel Primo Rapporto, anche in questo volume l’attenzione è posta non soltanto sulla povertà alimentare in Italia e le sue dinamiche, ma anche sul sistema degli aiuti alimentari erogati agli indigenti dalle numerose organizzazioni caritative (quasi 17.000) che operano in tutte le regioni e i principali comuni del nostro paese. Questo tipo di analisi si riferisce, in questo volume, all’universo delle organizzazioni caritative accreditate presso l’Agenzia per le erogazioni dell’agricoltura (AGEA) e non solo alle organizzazioni aderenti alla Rete Banco Alimentare (RBA) che pure rappresentano la quota maggioritaria con quasi 9000 unità. Si raggiunge in tal modo una rappresentazione, inedita e completa, della “geografia della solidarietà” basata sull’azione capillare del mondo non profit impegnato nel contrasto della povertà alimentare nel nostro paese.

L’approfondimento delle caratteristiche e del modo di operare di queste organizzazioni caritative è affidato ad un’apposita indagine campionaria riferita, in questo caso, all’universo degli aderenti alla RBA nel 2014, arrivando a documentare analiticamente tanto le capacità quanto le difficoltà operative di enti scelti con il doppio criterio della specializzazione funzionale (enti, residenze, distribuzione di derrate alimentari) e della massima dimensione, e dunque rappresentativi, a maggior ragione, delle difficoltà affrontate anche dagli enti più piccoli nel corso dell’ultimo biennio, coincidente con il travagliato avvio del nuovo programma comunitario di aiuti alimentari (Fead – Fund for European Aid to the most Deprived).

Da questa indagine campionaria emerge anche il profilo degli indigenti che – in misura parziale, ma efficace – ricevono aiuti dalle organizzazioni non profit: viene confermato, a livello micro-sociale, l’incremento della food poverty registrato dalle statistiche ufficiali, dovuto principalmente all’aggravarsi della disoccupazione e della sotto-occupazione degli adulti che trasmettono la loro indigenza ai propri figli.

Le indicazioni provenienti dall’analisi dello stato di salute delle organizzazioni caritative segnalano il rischio di sovraccarico economico e sociale a cui esse vanno incontro, ovvero, al concreto rischio di impoverimento anche delle loro già scarse risorse. “Curarsi di chi aiuta”, è allora qualcosa di più di uno slogan: è una parola d’ordine civile, sociale e al fondo anche politica, poiché il sostegno sussidiario alle opere di carità è una via essenziale per costruire buone politiche di contrasto alla povertà anche nel nostro Paese.

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