Il Papa a Sarajevo. Ci vuole coraggio a parlare di pace ad un popolo che ancora si lecca le ferite e nello stadio che dà nome al cimitero che accoglieva i morti di quando la città era sotto assedio. Non è facile, ma il Papa lo ha fatto perché è coraggioso. È armato dell’unica arma che disarma: la vicinanza, lo stare accanto. Nessun dialogo è possibile se non ci si inizia ad avvicinare. Se qualcuno dice di voler parlare con te, di voler dialogare e comunicare ma ti lascia le cose su un tavolo o su whatsapp o te le manda a dire, saranno anche cose bellissime ma non è dialogo perché lui non c’è. Il dialogo inizia stando vicini. A Messa la pace si scambia: se non ti tocchi non è pace. Dunque il Papa, che è uomo di dialogo e di pace, ieri era a Sarajevo e parlava da lì, dove la guerra ha distrutto case e interi paesi. Era lì vicino a quelli che sono stati deportati, massacrati, uccisi o separati come avviene per ogni guerra. 



Ci vuole coraggio a fare la pace, a portarla e a scambiarla e bisogna starci. Non è vero che se vuoi la pace devi preparare la guerra: se vuoi la pace devi fare la pace. Se vuoi il bene, non solo non devi fare il male: devi fare il bene. La pace e il bene sono atti di giustizia e di amore. Non vivono di pensieri e riflessioni. Sì, sono desideri profondi dell’uomo, sono un moto del cuore, ma un moto appunto: perché mettono in moto le mani. La pace si fa. Non servono solo le sentinelle ferme sui bastioni a guardare il nemico. Una sentinella evoca un nemico ma finché non lo chiami prossimo non ci farai mai la pace. Bisogna passare dallo stare fermi in piedi, allo stare seduti accanto. 



E seduti con mani operose. Mani da falegname. Mani che fanno. La pace si fa. È un lavoro artigianale, un lavoro di bottega, di sgabello e mani grosse che fanno lavori fini. Il Papa dice che le beatitudini non parlano dei “predicatori” di pace ma degli “operatori” di pace. La pace si fa togliendo le macerie, rialzando i ponti, gettando nuove fondamenta, essendo artigiani di vita. Anche per chi come me l’ha vista solo alla televisione, la guerra è distruzione, polvere, macerie, ponti e case cadute. Allora il contrario della guerra non può essere solo desiderio di pace e discorsi: non può essere solo inchiostro, non può essere solo anima. Deve rimettere in moto la vita per essere pace. 



La pace si fa. Ci sono i costruttori menzogneri della pace — così li chiama il Papa — quelli che la annunciano solo a parole, e poi ci sono gli “artigiani” che la costruiscono davvero ogni giorno, gesto dopo gesto, dimostrando fraternità e misericordia. Per la pace ci vogliono mani d’artigiano, da falegname non a caso. “La guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!”. 

La volontà di pace non nasce da uno sforzo intellettuale coi denti stretti e con i sorrisi da foto tra capi di stato. La pace è un desiderio dell’uomo che nasce con lui. Solo così ogni mia parola sarà vite, chiodo, pialla, legno, asse, corda, peso, fondamento e ponte, per costruire la pace. No Man’s Land vuol dire “terra di nessuno” ed anche il titolo di un famoso film sulla guerra girato da queste parti. Nella terra di nessuno non c’è la guerra ma neppure la pace: non c’è nessuno. Il Papa invece vuole una terra di tutti, una terra di pace. Un luogo le cui coordinate geografiche sono quelle del dialogo e della fatica piccola e paziente: del fare il bene quotidiano, quello possibile. 

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