Chiamatelo Ismaele. Chissà come gli sarà venuto, a sua madre, di chiamarlo così. Dubito abbia letto Melville. Dico sua madre, perché del padre si sa solo che se n’è andato presto, poi lei s’è rifatta una vita, come si dice, e poi un’altra, e nessuna era quella giusta. Va bene, il senso comune politicamente corretto decreta che non si può colpevolizzare una madre se il suo ragazzo cresce un po’ sbandato, e le libere scelte affettive di un genitore non c’entrano con il percorso di crescita di un figlio. Non è vero, ma dobbiamo raccontarcela così, per giustificare i fallimenti, lo sfaldamento dei rapporti educativi.
A scuola Ismaele non andava bene, capita, come hanno detto gli zii. Solo che a scuola andavano anche con lui i delinquenti assassini che l’hanno ammazzato. Che scuola era? Il senso comune politicamente corretto decreta che la scuola fa quel che può, che ci sono un sacco di insegnanti in gamba e generosi e sottopagati, va bene. Epperò non è proprio vero, se un istituto alberghiero diventa una succursale di Scampia, dove si impara soprattutto a farsi di canne e spacciare. In che mondo vivi, è così dappertutto.
Non è vero, ma tocca raccontarci anche questa, per giustificare i fallimenti del sistema scolastico, che non accoglie, non segue, non educa affatto i suoi studenti. I due coetanei che l’hanno massacrato inscenando la macabra rappresentazione di un omicidio per ragioni satanico-religiose, erano albanesi. Bando al razzismo, e non solo perché non sta bene, ma toccherà pur ragionare sull’inserimento mancato di due giovani che vivono qui, vanno a scuola qui, e si comportano secondo codici tribali, ancestrali e disumani.
Che hanno una concezione delle donne pari a quella di pecore o mobilia, mio-tuo, se tocchi ti uccido. Che sono così abili e sprezzanti nel maneggiare coltelli, così perfidi e allenati al male da insozzare del sangue di un loro amico una croce. Vogli sperare che non siano islamici, sennò vaglielo a dire alla gente di sant’Angelo in Vado che l’accoglienza, il dialogo, il rispetto delle diverse identità eccetera. Perlomeno qualcosa in televisione lo vedevano, i filmati diffusi dal Califfato con lo sgozzamento in diretta dei martiri arancioni. O dobbiamo pensare che si tratta di pratiche che hanno appreso in famiglia? Che si tramandano come abitudini? Come sigillo di una acquisita maturità? Sei cresciuto, sgozza la fiera, dopo la purificazione nella foresta.
So bene che qualcuno citerà mafia camorra e compagnia, tanto per non gloriarci di qualche superiorità, che allevano e inquadrano i ragazzi così, alla violenza, alla bestialità. Appunto, ci vuole l’esercito contro la criminalità. E’ ipocrita sfilare in parata ad ogni anniversario antimafia, citarla indignati ad ogni occasione politica, e poi lasciare che i tuoi figli, il tuo futuro, dannato paese che siamo, si muovano come belve assatanate, protagonisti di un romanzo di Corman Mc Carthy. I servizi dei tigì e dei giornali oggi calavano la mano sulla risposta aspra, rozza, esasperata della gente, che avrebbe volentieri linciato i due assassini, alla loro cattura. Che orrore, cosa siamo diventati. Vero, comportamenti illegali. Ma no è colpa nostra, se abbiamo paura. Se ci sentiamo impotenti e insicuri nelle nostre strade, mandando i nostri figli a scuola o al parco. Se ci fanno diventare cattivi, sospettosi, se il pregiudizio e la voglia di vendetta si insinuano nei più pacifici e buoni.
Qualunque Ismaele in un paese civile, a diciassette o cinquant’anni, dev’essere libero di scegliersi e cambiare fidanzata, le fidanzate di scegliere o mollare lui. Al massimo ci sta un pugno, che i duelli al guanto bianco non s’usano più. Per questo l’omicidio atroce di quel ragazzo un po’ dandy, così fuori posto e tenero nella recita del maturo e usato latin lover che raccontano le foto che abbiamo conosciuto, così bambino e solo, così inadatto al suo nome da eroe, per questo la sua morte impensabile dice qualcosa di più, oltre all’attenzione morbosa della cronaca nera. Che sia poco corretto, non importa affatto: c’è un male temibile che avanza e corrompe e corrode, non lascia immuni i più giovani. C’è l’insipienza di adulti egoisti e fragili, di istituzioni pavide e incerte, che fingono di non vederlo, lo accantonano per esorcizzarlo. Quella scena del delitto è troppo per due ragazzi: c’è di più, quando il male è così forte e insensato. Una croce schizzata di sangue, una chiesetta sconsacrata, un gesto, il taglio della gola, che richiama troppo l’orrore a cui cerchiamo di abituarci, e che invece è sempre più prossimo.