In Umano, troppo umano Friedrich Nietzsche scriveva, rivolgendosi ai cristiani: «Se la lieta novella della vostra Bibbia vi stesse scritta in faccia, non avreste bisogno di imporre così rigidamente la fede».
Chi ha potuto seguire, appassionandosi, la storia di Salvatore Mellone – un ragazzo di Barletta, scomparso pochi giorni fa, a soli 38 anni – non può che dire, ribattendo a Nietzsche, che la sua era sicuramente un’altra faccia: la faccia di un uomo in cui non c’era alcuna imposizione, ma solo la libertà e la pienezza che Cristo è in grado di portare nella vita con la sua resurrezione. Come lo stesso don Salvatore ha detto di sé il giorno della sua ordinazione sacerdotale, poco più di due mesi fa: «ringrazio Dio per quell’amore sconfinato che ha voluto riversare nella mia vita, sovrabbondante di grazia; quanta gioia oggi, quanta da oggi, quanta non solo oggi».
La storia di don Salvatore ha commosso tanti, in primis Papa Francesco, che, telefonandogli qualche giorno prima della sua ordinazione, gli ha chiesto la benedizione per sé durante la prima messa che avrebbe celebrato da novello sacerdote.
Nato a Barletta nel ’77, dopo la laurea si iscrive all’Ordine dei giornalisti di Puglia, e pubblica nel 2009 la raccolta di poesie Le scaglie intorno e nel 2013 il volume L’umanità libera sorride a Dio. Agorà e Parola. Quattro anni fa entra in seminario, ma a giugno del 2014 alcuni problemi di salute portano alla diagnosi di una neoplasia all’esofago, che lo costringe a pesanti terapie. La malattia non arresta tuttavia il desiderio di proseguire nel cammino della vocazione avvertita e seguita in seminario: nel dicembre del 2014 otterrà il nullaosta per l’ammissione all’ordine del diaconato e del presbiterato.
Quando le condizioni di salute si aggravano, don Salvatore manifesta al suo arcivescovo, Mons. Giovan Battista Pichierri, il desiderio di accelerare il suo percorso vocazionale: «un vivissimo desiderio» il suo, «di poter coronare il suo cammino vocazionale con l’ordinazione presbiterale». Anche un solo giorno da presbitero sarebbe stato per lui la realizzazione del progetto di Dio sulla sua persona. Intercettando e riconoscendo nel giovane questo «vivissimo desiderio», l’arcivescovo decide di accelerare, fino a impartire a don Salvatore il 16 aprile il presbiterato. 74 giorni dopo, il 29 giugno 2015, don Salvatore Mellone, presbitero per grazia di Dio – come amava definirsi – è morto.
Una storia semplice e potente di santità, che reca al fondo una domanda altrettanto semplice e potente: com’è possibile che un uomo al termine della sua vita – una vita richiestagli improvvisamente ad appena 38 anni – possa conservare un vivissimo desiderio, cioè un desiderio di vita? Non ci si immaginerebbe di vedere un uomo, che in fin di vita racconta di sé, recitando San Paolo: «Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né altezza, né profondità potrà mai separarci dall’amore di Dio».
Viene da chiedersi cosa consenta tutto questo: una bravura, un eroismo, una propria capacità? Per chi ha seguito la vicenda di don Salvatore la risposta non può che essere un’altra: solo l’esperienza della resurrezione può rendere piena e certa la vita di fronte a tutte le circostanze. Solo la resurrezione di Cristo è in grado di sfidare la morte sino a questo punto, addirittura vincendola. Don Salvatore ha portato sul viso, nello sguardo questa diversità, questa vittoria.
La faccia di don Salvatore ha insegnato e insegna a tutti che Cristo vince se c’è un io che mendica sinceramente la Sua Presenza e se ne lascia abbracciare.