Quest’anno il meeting presenta un titolo che, anziché affermare un momento dell’esistenza umana, presenta una domanda: quella sulla “mancanza”, così come viene formulata da Mario Luzi in una sua poesia del 1999.
La domanda di Luzi “Di che è mancanza questa mancanza, cuore?” colpisce l’esistenza di chiunque, riempie le sale della fiera dell’eco del suo infinito ripetersi. Il meeting di Rimini, vetrina e piazza, agorà e tavola, conferenza e mostra di un movimento ecclesiale che è già storia, accompagna da trentasei anni l’Italia. Difficile pensare al Meeting di Rimini solo come all’appuntamento, pur organizzato e partecipato, di un movimento ecclesiale. In realtà il Meeting costituisce sempre di più uno spazio nel quale il movimento di Comunione e liberazione accompagna il Paese, guarda il mondo e solleva punti di vista, sguardi sulla realtà che interessano tutti.
Da molti anni la realtà presentata nei titoli del Meeting è sempre meno un’analisi del panorama sociale e istituzionale, per essere invece e sempre di più uno sguardo sulla realtà dell’esistenza individuale concreta, quella che coinvolge e stravolge ciascuno.
La domanda di Luzi sulla mancanza è in sé provocatoria. Nei fatti anticipa quella sul senso religioso, ne costituisce la premessa esistenziale. Non c’è infatti nessun desiderio di bellezza, di verità e di giustizia se quest’ultime non sono già state, in qualche modo, intuite, anche solo per un attimo, nel corso dell’esistenza. Tutti gli esseri umani si innamorano e prendono le loro decisioni più importanti solo a partire da una “felicità intravista”, da un bello che ha “ferito il cuore”, da una bontà che ha mosso e commosso. Occorre pur avere incontrato un frammento di bellezza, presentito un principio di verità; occorre pur avere sperimentato, almeno per una volta, l’affermarsi della giustizia per non tollerarne l’assenza, per non separarsi più dal desiderio di un vero appena sperimentato, di una bellezza appena incontrata.
È l’esperienza del bene radicale che smuove il cuore, lo fa desiderare. Non c’è movimento storico, non c’è processo culturale, non c’è volontà umana che non si siano mosse nel desiderio di recuperare un bene percepito, una verità appena scorta. Non c’è nessuno, non c’è persona di ogni epoca e di ogni luogo che non abbia fatti i conti con lo struggersi per la mancanza del bene appena avvertito, per l’assenza di quella bellezza e di quella giustizia appena scorte e che non si è riusciti a trattenere.
L’assenza che nasce da un bene che manca, da un bello che non si trova, da un vero che sembra sfuggire porta così all’esperienza della mancanza: una mancanza che riempie il cuore.
Se questo è vero non ci sono che due soluzioni. La prima è quella di rinunciare a pensarci, vivendo nella “vita insulsa” come diceva don Giussani. Rinunciare a riflettere, quindi a dimenticarsi di quelle stesse verità e bontà appena percepite. Sbarazzarsi della memoria, magari “cercando un’altra festa”, come i protagonisti dei romanzi di Hemingway, persi nell’eterno tentativo di vivere la vita per i piaceri momentanei che può dare, anche a costo di tornare da soli “a piedi, in albergo nella pioggia”.
La seconda soluzione è invece quella di non fuggire e di avere invece il coraggio di guardare questa stessa mancanza, riconoscerne la verità che reca con sé. C’è qui lo spazio per la consapevolezza e per la memoria. C’è lo spazio per il ricordo, per gli affetti che mancano, per i “piccoli gesti di bontà” che abbiamo ricevuto, per riconoscere e chiamare per nome il bene che manca, della cui assenza siamo invasi.
Qui c’è Mario Luzi, tutto intero, riassunto nel suo coraggio di guardare “la piena della tua indigenza”, che di fatto “ti sommerge”, perché “la diga si è rotta”. Dinanzi alla mancanza c’è allora la domanda più umana, più onesta e pulita che ci sia: quella che interroga il cuore sulla mancanza stessa, su cosa la strutturi e la sostanzi. C’è qui l’umano in ricerca, con coraggio ed a costo di vagare una vita intera, ma che in questo stesso vagare recupera per intero la propria umanità.
Non c’è incontro reale ed autentico con la verità rivelata che non parta dalla consapevolezza di questa mancanza e dal desiderio profondo di colmarla. È il punto di incontro nel quale incrociamo il volto e il cuore degli altri, che è poi l’unica cosa che veramente ci interessa.
Ma un tale coraggio non può affermarsi senza un barlume di speranza, sommessamente confessata, ed è ancora Mario Luzi a descriverla: “Viene, forse viene, da oltre te, un richiamo, che ora perché agonizzi non ascolti. Ma c’è, ne custodisce forza e canto, la musica perpetua ritornerà”. Il richiamo che c’è muove il cuore. Coscienza della mancanza che inonda la vita, ma anche capacità di ascoltare un tale richiamo, un richiamo “che c’è”.
È l’esistere dell’umano, dal quale maturano ricerca e fiducia, attesa e desiderio. È a partire da un tale esistere che tutto si costruisce e si edifica. Ed è qui, in questo “campo base” della nostra esistenza, che ogni incontro vale e nulla, veramente nulla, è mai più banale.