L’idea della grande infornata collettiva di nomine per i maggiori musei italiani può essere vista come un segnale di svolta. Ma dal punto di vista concreto non è stata una grande idea. Il giorno dopo la rivoluzione di Ferragosto, smaltita la sbornia da “rottamazione”, si iniziano a vedere con più nitidezza i limiti vistosi dell’operazione voluta dal ministro Dario Franceschini. Per la prima volta si è aperto il bando a direttori stranieri, e alla fine ne sono stati scelti sette, su venti posti in palio. Ora, se si guardano i curricula, si può dire che i nostri musei, che sono e restano tra i più bei e importanti musei del mondo, meritavano un livello di candidature più alto. Nella fretta dell’operazione choc ci si è accontentati di portare a casa nomi autorevoli certo, ma non nomi di primissimo piano. Invece i musei in gioco erano tutti di primissimo piano, aldilà dei limiti e dei problemi che tutti conosciamo benissimo. Il bando ha permesso anche un fenomeno da “cervelli di ritorno”, perché alcuni musei sono finiti a studiosi italiani che da tempo lavoravano in istituzioni estere. Ma come ha lucidamente e maliziosamente notato Salvatore Settis su Repubblica, anche in questo caso i calibri da 90 si sono guardati bene dal scendere in lizza: Gabriele Finaldi è rimasto alla National Gallery di Londra e Davide Gasparotto alla Getty di Los Angeles dove è Senior curator of paintings. Invece torna in Italia, per occuparsi del Museo archeologico di Taranto, Eva Degl’Innocenti, brava studiosa di archeologia medievale, che guidava un museo bretone. Per lei un bel salto con triplo avvitamento…
Ci sono poi nomine francamente poco comprensibili, come quella di Gabriel Zuchtriegel, 34 anni, tedesco, senza nessuna esperienza in direzione di musei, né piccoli né grandi, che guiderà lo straordinario sito di Paestum, con il Museo connesso. Un architetto di 44 anni, Carmelo Malacrino, invece sarà alla guida del Museo di Reggio Calabria, quello dei Bronzi di Riace. Nella scheda di presentazione approntata dal ministero si dice che è «ricercatore di storia dell’architettura nel Dipartimento di architettura e territorio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria» e «vanta numerose esperienze nella gestione museale e di scavi archeologici». Numerose ma non meglio precisate…
Nel bandi si chiedeva «specifica competenza attinente collezioni e/o le raccolte del museo o dei musei per i quali si è presentata domanda». Non si capisce bene allora, come ha notato Valentina Porcheddu su Il Manifesto, quale sia il raziocinio che ha portato alla guida del più importante museo archeologico d’Italia, quello di Napoli, Paolo Giulierini, un bravo etruscologo che dal 2001 dirige il Museo di Cortona. A Napoli, celebre per i tesori che vengono da Pompei e per le sculture romane, di etrusco c’è poco o nulla.
La sensazione del giorno dopo è che l’istinto a rottamare sia nettamente prevalso su quello a costruire un nuovo percorso. E che le nomine valgano per quello che implicitamente viene bocciato. Anzi in certi casi anche umiliato. Voleva essere un segnale lanciato alle sovrintendenze, e così è stato. Solo una nomina su 20, quella di Anna Coliva alla Borghese di Roma, attinge dal personale che amministra i nostri beni culturali. Antonio Natali, direttore degli Uffizi, è stato silurato per fare largo a uno studioso tedesco, Eike Schmidt, molto autorevole, ma con nessuna esperienza di direzione di musei. Schmidt, alla notizia della nomina ha onestamente ammesso di avere «tremore alle mani». La nomina degli Uffizi come quella degli altri sei musei di prima fascia è stata gestita direttamente da Franceschini, e la bocciatura di Natali si spiega con vecchia ruggine politica. Del resto anche in questa infornata la politica non è rimasta a guardare. Gli studiosi e personalità di area Pd hanno goduto di corsie preferenziali. Basti pensare che il direttore del Dipartimento economia e promozione della città del Comune di Bologna, Mauro Felicori, manager culturale ed eccellente professionista, ha vinto la corsa per la direzione della Reggia di Caserta…