“Il Meeting mi è parso anzitutto una straordinaria scuola di famiglia. In America non è facile trovare appuntamenti così, in cui tutta la famiglia può fare esperienza educativa”. Timothy Shriver si sta godendo il Meeting assieme alla moglie Linda (hanno cinque figli) in attesa di partecipare a “Fully Alive – Domande e sfide alla ricerca dell’amore di Dio in ciascuno di noi”, una conversazione con suor Maria Giovanna Bertelli, missionaria saveriana a Bangkok, con la moderazione di Letizia Bardazzi.



Il nipote di John e Robert Kennedy ha accolto l’invito dopo aver partecipato al New York Encounter 2015: anche lì stupito dal clima singolare creato dall’evento. A Rimini ha ritrovato un’atmosfera di intensità moltiplicata dalla “ricchezza di relazioni umane”, “amazing“. «Negli Usa – ripete – mi accade raramente di ritrovarmi con tante persone diverse per condividere assieme un’esperienza fortemente educativa: soprattutto interi nuclei familiari, riuniti, anche con i figli grandi».



Condivisione di cosa? «Dentro la comunità del Meeting ho colto un grande desiderio di libertà. E mi ha colpito perché la libertà generata dalla condivisione è esattamente la chiave dello sforzo quotidiano mio e dei miei collaboratori a Special Olympics». A Rimini Tim Shriver assicura di essere venuto just to learn, per imparare. Ma come a New York, lo scorso gennaio, non saranno pochi quelli interessati al suo impegno al vertice di una grande istituzione noprofit globale. 

Special Olympics è stata creata quasi mezzo secolo fa dalla madre di Tim, Eunice Kennedy, sorella maggiore del presidente ucciso a Dallas e del senatore assassinato a Los Angeles. Si era ritrovata a fare i conti con il declino della madre, la leggendaria Rose Kennedy. Da quell’esperienza personale aveva maturato un’attenzione speciale per le persone svantaggiate sul piano psichico, intellettivo. E aveva individuato nello sport un percorso originale, anzi: una breccia in quello che – anche oggi – è spesso un muro di indifferenza, di discriminazione, di timore oscuro.



Tim Shriver – che ha raccolto l’eredità d’impegno sociale (cristiano, cattolico) della madre – non si stanca di ripeterlo anche a Rimini: «Il vero nemico delle persone svantaggiate, in particolare dei disabili psichici, è la paura. la paura che gli altri hanno di loro». Suo compito – dice a ilsussidiario.net – è certamente quello di sviluppare le attività di un’organizzazione che ha coinvolto oltre 4 milioni di atleti in 70 paesi (i World Games 2015, aperti da un messaggio video del presidente Obama, si sono appena svolti a Los Angeles con la partecipazione di 6.500 atleti).

«Quella che sento come mia missione – dice – è insegnare al mondo che nessuno può aver paura di un disabile psichico: nessuno può permettersi di sentirsi respinto, di allontanarsi. E un campo sportivo è un luogo ideale in cui ciascuno di noi può imparare a fugare ogni paura, a non sentirsi in nulla separato da un disabile psichico, a condividere una grande libertà umana come quella di praticare una disciplina sportiva. Loro non si sentono diversi: perché qualcuno dovrebbe discriminarli?». C’è tempo per un ultima notazione: «Per me le occasioni più preziose sono quelle che – semplicemente – mi regalano la libertà di condividere la mia esperienza. Come qui a Rimini».

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