La megadiscoteca riccionese Cocoricò, settimanalmente frequentata da migliaia di ragazzi molto spesso minorenni, è stata sanzionata dal questore di Rimini Maurizio Improta con una chiusura obbligatoria di 4 mesi a partire dal 3 agosto. Il provvedimento è stato adottato in seguito alla morte del sedicenne Lamberto Lucaccioni di Città di Castello, avvenuta nel locale il 19 luglio per un’overdose di ecstasy. La decisione è stata presa in base all’articolo 100 del Tulps (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) che recita: “…il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”, ed ha avuto il plauso del Codacons, dei genitori del ragazzo e di numerose altre persone, mentre su Facebook si è già costituito un gruppo, che conta migliaia di “mi piace”, per la riapertura del locale.
Particolarmente interessante è quanto ribatte il prefetto di Rimini, Giuseppa Strano, al commento naturalmente negativo dei legali della proprietà della discoteca: “Ciò che è accaduto al Cocoricò, con la morte di un giovanissimo, è qualcosa che non si deve ripetere” afferma il prefetto “in generale va aperta una riflessione a cui sono chiamati tutti, le famiglie, le istituzioni, gli educatori, le confessioni religiose perché si è passato il segno. È un problema principalmente di valori”. È questo richiamo ai valori e ai soggetti che sono chiamati a riflettere ad essere particolare. Senza negare le questioni legate all’ordine pubblico, infatti, è come se venisse suggerito che il problema sta a monte, è educativo.
A ben pensarci, comunque, i quattro mesi di chiusura del locale sono strani: davvero si può pensare che i gestori del locale possano controllare l’eventuale giro di droga di un baraccone del genere? Eppoi tanto vale uscire dall’ipocrisia: quello che vale per il Cocoricò è lo stesso per la stragrande maggioranza delle discoteche d’Italia. O davvero c’è qualcuno che crede che siamo di fronte un caso particolare? Suvvia. L’ipocrisia sta nel fatto che lentamente tutti i soggetti nominati dal prefetto, a iniziare dalle famiglie, hanno accettato una serie di dati di fatto in realtà infernali, un’idea del divertimento che, sempre per citare il prefetto, “ha passato il segno”. È sufficiente guardare uno dei filmati reperibili online, anche pubblicitari, su una serata qualsiasi al Cocoricò: luci intermittenti distruttive della vista, musica a volume assurdo, alcool a fiumi fornito da bar dentro e fuori il locale e, a quanto pare, pastiglie in abbondanza; il tutto fino alle cinque di notte, ora in cui mediamente finisce una serata. Ma davvero è colpa dei gestori?
Andiamo, ancora una volta non siamo ipocriti: la colpa è di tutta la società, incapace di vedere una situazione che sarebbe assurda pressoché ovunque (in gran parte degli Stati Uniti d’America, comunemente ritenuti il paese più liberale del mondo, tutto ciò sarebbe impensabile). Con il concorso di tutti, abbiamo reso normale un’idea demoniaca del divertimento e chiunque pensasse di porvi un freno passerebbe per un reazionario moralista liberticida, questa è la realtà.
Dunque la chiusura del Cocoricò non serve proprio a niente: per quattro mesi i suoi giovanissimi clienti frequenteranno discoteche equivalenti, di cui la riviera romagnola pullula, e poi torneranno al Cocoricò, continuando a fare quello che hanno fatto finora. Speriamo che almeno più nessun ragazzo ci lasci la vita.