Kira, non so chi sei, ho ammirato il tuo fisico, il tuo radioso sorriso biondo, la baldanza con cui reggi l’asta, e ti slanci nel salto. Una valchiria, ma dolce, ma giovane, ma così poco pericolosa. Ho ammirato la tua stoffa da campionessa nei filmati che segnano i tuoi successi: sperando sempre con tremore che i giornali, la televisione, il web ci risparmiassero quelle dell’ultimo salto. Tu, primatista del tuo paese, l’Austria, che balzi fuori dal tappetone, in allenamento, e batti il collo, la schiena. Frattura della quinta vertebra cervicale, si è pensato subito a shock midollare, è peggio. Paralisi completa, dicono i sanitari della clinica in cui sei ricoverata, Innsbruck, e si pensa al candore delle nevi e alle gare di sci, non al bianco di un letto dove sei costretta.
Cosciente di quel che ti aspetta, cosciente di una diagnosi impietosa: mai più. Ecco, ascolta questa storia, ragazza bionda dalle lunghe gambe. C’è un ragazzo che ha avuto un male terribile, e operarlo era d’obbligo per salvargli la vita. Dopo l’intervento non si muoveva, e i medici hanno pronunciato quella parola tremenda: mai più. Non erano inesperti o azzardati, erano consapevoli e scrupolosi, avevano ogni ragione. Quel ragazzo, tuo coetaneo, che è un campione nella vita, nello studio, nella grandezza d’animo, sapeva, già prima dell’operazione, che rischio correva. E ha sofferto tanto, anche fisicamente, tanto da non poter tollerare un lenzuolo addosso. Sono passati cinque mesi, e gli amici diffondono filmatini col cellulare di quello stesso ragazzo, che s’appoggia prima al girello, poi alle stampelle, proprio le canadesi che usi quando ti rompi le gambe, e va piano, pianissimo, si vede lo sforzo e si immagina la pena, ma insomma, cammina. Su e giù per i corridoi, cammina, sta buttando catetere e carrozzina. Incredibile, dicono i medici, di cu non voglio affatto sminuire la professionalità e sapienza.
Dico soltanto, ragazza bionda, che la medicina è bella perché due più due non fano mai quattro (neppure in matematica, ci spiegano oggi) perché non è una scienza esatta: il verbo “esigere” non può riferirsi alla persona, e la medicina è la scienza che cura, ama, sostiene, guarda la persona, che sa sempre stupirti, come ti stupisce Dio, che toglie e dà, e non capiamo perché. Ma siamo certi che lo capiremo, e che quel che capita è per un bene.
Deve essere così per forza, o nulla ha valore, nulla ha senso, e il tuo salto grandioso e sbagliato di qualche centimetro sarebbe soltanto una beffa del caso, o un errore irreparabile e inutile. Inutile la tua sofferenza, quella dei tuoi genitori, inutile la rabbia e l’affetto e la partecipazione di tanti, che oggi si impegnano a trovare fondi, perché tu possa essere curata, al meglio. Con la speranza, con la fiducia, che sono la prima tappa di ogni cura.
La speranza non è follia, se i medici vogliono sottoporti a riabilitazione, se tu ci vuoi provare, e farai il massimo, come hai sempre fatto, per questa sfida più ardua, e più eccezionale. Però il ragazzo di cui parlavo si è messo in gioco così, ed è possibile che torni a camminare da solo, spedito, e continuare i suoi studi. Senza illusioni, Kira, ma con tenacia, dopo aver pianto tutte le lacrime, a davanti a qualcuno, capace di abbracciarti e darti coraggio. Capace di dirti che la speranza non delude, perché siamo amati comunque, e non solo da chi ci ha generato e ci vuol bene, qui ed ora. Kira, il ragazzo che muove le sue stampelle ogni giorno, e aspetta di tornare a casa per stare con gli amici, non è fantasia, è un segno, una testimonianza per me, per chi lo conosce, e non un’illusione. Coraggio, giovane valchiria, siamo con te.