Andrea era bello, riccioli biondi. Andrea era il più bel bambino, il più bel ragazzo, con gli occhi dolci e già perduti chissà dove, lontano. Io lo ricordo così, anche se poco importa quando muori, e muori in modo violento, se eri bello o meno, sapiente o meno, povero o ricco. Quando sei vittima, della malattia e dell’ingiustizia. Ma a chi l’ha visto negli ultimi anni, sformato e provato da anni e anni di un male insidioso, cattivo, incalzante, e da anni e anni di cure pesanti, che annullano coscienza e volontà, tocca dare l’immagine vera, la memoria vera.
Riccioli biondi. Da uomo, la sua casa una panchina di strada, i suoi amici i passanti e gli sbandati di una piazza qualsiasi, in una città che d’estate non offre che qualche pezzo d’ombra, per chi è costretto a viverne la solitudine e il caldo. Una panchina, per stare in mezzo alla gente, per illudersi di avere degli amici, per dare un senso al suo vagare sempre più stanco e faticoso, con barlumi di lucidità che devono essere stati struggenti, strazianti.
Andrea era mio cugino, e vedere il suo bel viso stampato sui giornali, e leggere che forse è morto ucciso, comunque con dolore, strapazzato e gettato in manette in un’ambulanza, nell’ora del silenzio e della quiete, dell’afa, non dà tregua alle domande, al rimorso. Cos’è successo, perché? Si può prendere un uomo disgraziato, che soffre di una schizofrenia inutilmente diagnosticata, e offrirgli solo e soltanto un’iniezione, per sedarlo, una tantum, come gli animali? Legato, afferrato per il collo, a testa in giù, le mani bloccate, per un ricovero, ovvero per curarlo, aiutarlo, contro una volontà che non ha più ragione di sé? È questo che offre la decenza civile, questo il massimo che si poteva fare?, abbandonando un padre già vecchio all’assistenza penosa e impotente, a vedersi portar via il figlio! Come un colpevole, un criminale, non una vittima innocente e dolente.
No, anche prima di accertare se in quell’ora di meriggio assolato qualcuno ha sbagliato, per incuria e trascuratezza, o per rabbia, per maldestra applicazione di norme mal recepite, come tecnicamente in questi casi si dice, prima ancora, la sua morte è un grido all’ingiustizia, per tutte le famiglie lasciate sole, per l’ignoranza con cui ancora nascondiamo le malattie psichiche, come si trattasse di una colpa, di un’onta insanabile, di una tara, una macchia familiare. Per aver sentenziato che siamo più civili, ora che non costringiamo più questi pazienti in case di tortura silenziati per secoli. Ci mancherebbe. È meglio lasciarli alle panchine e alla strada, alla disperazione, al degrado? Ci sentiamo più buoni ad aver trasformato i manicomi in ville civiche. Ma chi li abitava? Ombre di cui ci si deve accorgere per un ricovero forzato, qualche calmante, e nient’altro.
La morte di Andrea è l’urlo di un povero Cristo all’indifferenza, all’ipocrisia, alla rassegnazione. Prima o poi doveva finire male, si è pensato sotto sotto. L’ho pensato anch’io, che non gli ho mai regalato altro che un pensiero, un sospiro, un ricordo davanti a Dio. Parole che tante volte ho ricacciato in gola per la paura di non poter dare risposte. Perché 25 anni di dolore e repressione, quale il senso del suo essere al mondo, peso per chi gli vuol bene e presenza inutile per chi gli passava accanto, nella vita o per strada. Oggi, mentre rileggo contro voglia la sua storia, mi pare che ogni parola non sia abbastanza rispettosa, pietosa, adeguata. Oggi, mentre ne sento parlare come di un caso di cronaca, la domanda brucia più forte, non può non pretendere una risposta.
Balena un’ipotesi, la più ragionevole, all’esperienza e al cuore. Lui dà un segno. Era il segno che vali non per come sei o cosa sei nel mondo. Vali perché sei amato, da chi ti ha creato, da tuo padre che non ti ha mollato mai, e adesso vuole solo verità e giustizia. Vali per farci accorgere di quante presenze scomode accantoniamo. Vali per tutti gli amici strampalati, qualcuno poco onorevole, qualcuno sbandato, che a loro modo ti sono stati vicini. Che ti hanno regalato un sorso d’acqua, una sigaretta. Che ti hanno fatto compagnia mentre tutti noi ci siamo in fondo scordati volentieri di te. Per tutti gli ultimi, di una città e della terra, che tengono accesi un lumino e gettano fiori su quella panchina. Convinti che la verità non verrà mai fuori, che agli ultimi non toccherà mai giustizia, e che in fondo poco importa, se Andrea non c’è più. Ma lui è avanti, praecedet nos, ce l’ha promesso Gesù. Lo schiaffo della sua morte assurda, comunque sia avvenuta, sia memento per l’insensibilità e l’egoismo, per le leggi sbagliate e o giudizi sbagliati, sui malati come lui e sui poveri che stanno loro vicino.