L’occhio ideologico impedisce a molti di comprendere, nella sua drammaticità, quanto il Papa e la Chiesa ci stanno dicendo in tema di matrimonio e di famiglia. I canoni del diritto canonico riformati l’altro ieri dal Santo Padre con due documenti “motu proprio” non riguardano né un processo breve e gratuito per “annullare” il matrimonio (come pretendono i progressisti esultanti), né una via cattolica al divorzio (come li leggono i conservatori accaniti), ma raccontano — a chi vuole ascoltarla — tutta un’altra storia.



1. Con i suoi interventi, infatti, il Papa ci sta dicendo che nella famiglia, come nel sacramento del matrimonio, quello che manca non è la realtà della presenza di Cristo, ma l’Io, la persona. Oggi, sempre più frequentemente, chi si sposa non lo fa “in malafede”, ma senza esserci, senza la totalità della sua ragione e della sua libertà. Un uomo assente non può acconsentire in alcun modo ad accogliere un altro essere umano diverso da lui per storia, per sesso e per personalità in salute e in malattia finché morte non li separi. E se non può esprimere quel consenso il matrimonio, il sacramento del matrimonio, non c’è mai stato, non è mai avvenuto. Il Papa, insomma, ci ricorda che perché un fatto avvenga occorre l’Io: senza di esso Cristo può venire e non trovare niente da assumere e salvare.



2. Il fatto ancora più gigantesco è che la Chiesa, mediante due Sinodi, ci sta urlando in tutti i modi che un uomo si accorge di non esserci stato — di non essere stato presente davvero nel momento del sì — o di fronte al dolore di un rapporto che finisce, perché non sostenuto dalla Grazia, o di fronte ad un nuovo amore che comincia e che — questo sì — lo ridesta in tutta la sua energia morale, psicologica e affettiva, fino a condurlo ad un un giudizio che o lo aiuta a riscegliere ciò che ha già scelto o insinua in lui un’ipotesi che solo la Misericordia di Dio attraverso l’agire della Chiesa può discernere nella sua verità. Di fronte a quelle umanità davvero ridestate — dal dolore o dall’amore — il Papa ci dice che Cristo, il Corpo di Cristo, non può stare fermo e far finta di nulla. Proprio per questo egli permette ai Successori degli Apostoli di “dare agli uomini da mangiare”, ossia di chinarsi su quelle ferite per riportarle alla loro verità, riconsegnando ai protagonisti di queste vicende la realtà, e quindi la responsabilità, verso ciò che esiste o non esiste fra loro. Senza ambiguità, senza alibi.



3. I Vescovi d’ora in avanti potranno decidere come procedere di fronte a tali fatti: o riconoscendo, alla presenza di certi parametri, una evidente inesistenza del vincolo, o avviando un processo diocesano chiaro e lineare per comprendere al meglio se qualcosa è accaduto fra quelle due persone, oppure rinviando al processo canonico tradizionale i due sposi, avendo sufficienti motivi per voler analizzare meglio la situazione. La Chiesa, in definitiva, non si arroga il diritto né di sciogliere né di offrire scorciatoie, ma si mette a servizio della vita degli uomini per mostrare loro che cosa vi è veramente successo.

4. Molti a questo punto insorgeranno chiedendosi come mai non sia possibile fermare i nubendi prima del matrimonio. A costoro va detto che il matrimonio nella Chiesa è un diritto e che il diritto è sempre a favore del matrimonio. Per cui non si può, in base al sentore di un sacerdote acuto, bloccare una coppia, a meno che non ci siano fatti evidenti o sia essa stessa a prendere coscienza che — dietro il sentimento dell’amore — manca la volontà, manca la scelta. E questo, lo abbiamo visto, a volte si rende palese solo dopo molto tempo, attraverso il dolore o un nuovo incontro.

5. Infine, diciamocelo: quello che ha fatto il Papa in questi giorni rende il Sinodo qualcosa di molto diverso da quello sbandierato dai giornali. Dinnanzi a questa semplicità di cuore, che diventa semplicità di procedure per accertare la realtà, è ben difficile parlare di comunione ai divorziati-risposati. Soprattutto perché chi davvero ha commesso un errore di immaturità nel consenso (errore che, è bene dirlo, è sempre stato previsto dal diritto) adesso ha la possibilità di verificarlo con celerità e verità. Questo senza sminuire il doppio grado di giudizio che, se il promotore del vincolo ritiene opportuno, può tranquillamente essere ancora richiesto ed esercitato.

La Chiesa, come una Madre, ancora una volta ci sta educando alla curiosità verso ciò che c’è e a guardare al vero problema che affligge i legami affettivi nel contesto contemporaneo: l’assenza di un Io capace di giudicare e di incontrare fino in fondo quello che prova e quello che sceglie. Di questo ora deve occuparsi il Sinodo. Consapevole che l’Eucaristia non è un gioco e che le misure del Papa offrono, a chi è intimamente convinto di non essersi mai sposato, la strada per guardare con lealtà, e non individualisticamente, a che cosa sia realmente avvenuto nella propria vita. Non c’è dubbio: adesso a ottobre sarà tutta un’altra storia.