Carissimo Naledi, innanzitutto, complimenti per il nome. Magari tu ti chiamavi con un grugnito, oppure con una serie di versi a significare scappa-veloce-da-belve-cattive, o cose del genere. Faccio fatica ad immaginarti, pro-pro-prozio di due milioni di anni fa, o forse due e mezzo, c’è poca differenza. Ti hanno scoperto nel 2013, ma hanno messo insieme i pezzi, i maghi mondiali della paleontologia, e poiché ce n’è anche uno italiano, merce rara, chissà che non riesca lui a leggerti, vicino all’orecchio, questa mia che proviene da un lontanissimo futuro, per te.
L’orecchio non c’è più, ma nel punto del cranio dove c’era, perchè data l’età, ti sei conservato benino. Altro che in pulverem reverteris. Ossa complete, tue e dei parenti e amici tuoi, sepolti con te, una quindicina, pare. Tutti interi, con l’aggiunta di scheletrini di topo o pipistrello, abitanti omertosi della grotta in cui ti hanno trovato, custodi dei suoi segreti.
Mi sono scordata: Naledi significa stella. Chissà quante ne hai viste, e come le hai guardate, e chissà com’erano belle, se più luminose e vicine, quasi a chinarsi dal cielo in quella terra buia, la notte, e così magica. Un nome che verrà di moda, già lo so, che suonerebbe vezzoso per una ragazzina leggiadra, mentre tu di leggiadro dovevi avere ben poco. Hanno ricostruito il tuo volto: dire bellino sarebbe piaggeria, eppure ci sono facce ben più sgraziate e ferine della tua, che passeggiano accanto a noi. Vorrei vederli, aggirarsi nei boschi tra fiere dai denti a sciabola e uccelli rapaci, rettili mostruosi e insetti infidi, fuggire a piogge torrenziali e fulmini di tempeste, dormire sulla nuda terra e mangiare carne sanguinolenta. Tu hai mantenuto una decorosa dignità, caro bis bis bis, un bel portamento, gambe agili, fisico asciutto, piedi eleganti, nonostante le camminate e quei terreni impervi e selvaggi, mani non da tecnologo, ma atte a salire con scaltrezza sugli alberi, ed è un talento non da poco, in certe situazioni perigliose. Tarzan, che ci è sempre piaciuto tantissimo, faceva proprio come te. Un po’ più alto e palestrato, ma chi direbbe che Tom Cruise è un brutto uomo solo perché non supera il metro e sessanta?
Ho detto uomo: non ti chiamano così, li hai spiazzati, caro antenato. So bene che non desideravi affatto essere scoperto, ma sarai soddisfatto di aver messo in subbuglio l’intera comunità scientifica: avevano deciso assolutamente (gli scienziati usano spesso questo avverbio, che dovrebbe essere proibito) che i più diretti predecessori dell’uomo erano gli uomini sapiens cosiddetti, (solo perché sapevano usare il fuoco e gli utensili, che superbia), e arrivi tu, bel bello, a mostrare più somiglianze di loro con la civilissima nostra stirpe, compresa quell’abitudine che attribuiamo a gente pensante di non oltre 200mila anni fa, ovvero seppellire i morti.
I paleontologi capitati in quella grotta in Sudafrica hanno dovuto arrendersi: non era una calamità naturale o una assedio di bestie feroci ad aver radunato nell’antro tutti quegli scheletri. Erano stati messi lì apposta, tutti insieme, a riposare, unit nel sonno eterno. Ma allora, si son detti, già due milioni e passa di anni fa c’era il culto dei morti? L’idea di un per sempre, di un aldilà per cui avesse senso prendersi per mano, e incamminarsi insieme? La realtà è più forte di ogni teoria scientifica, e han dovuto arrendersi.
Sì, avevi pietà e tenerezza per i tuoi morti. Magari adesso scopriranno pure che in quella grotta erano tutti parenti, e dovranno ammettere che l’istituto familiare, roba da spazzar via come retaggio di tradizioni imposte da leggi arcaiche e religiosità popolare, c’era già ai tempi tuoi, e dunque è per così dire connaturato all’uomo, o all’ominide, senza che tu ti offenda. A mio parere potrebbero chiamarti uomo, l’uomo più antico, anche se per sminuirti dicono che avevi il cervello non più grande di un’arancia. Ma ripeto, sono certa che la materia grigia di molti, anche se sovrabbondante le dimensioni di un’arancia, è traforata o così indurita da risultare inutile. Per non dire chi ha più cervello come lo usa, perchè non so tu, ma noi abbiamo l’idea che esistono il male e il bene, e che l’intelligenza può applicarsi ugualmente ad entrambi.
Allora, nella tu Africa, che è poi di tutti perché veniamo tutti da lì, capita che migliaia di bambini e bambine vengano uccisi, torturati, venuti come schiavi; che i loro genitori, ammalati da pestilenze tremende, oppressi da povertà e guerre che neanche ti immagini, siano abbandonati o costretti a vagare inermi e piagati, feriti, braccati, fino a cercare un mare in cui gettarsi, per raggiungere terre più ospitali. Chi è chiamato uomo usa decapitare i suoi simili, lasciando i loro corpi ai cani, usa disprezzare le tombe antiche o fresche, distruggere la natura che ti ha dato da vivere.
Dunque, a ben capire, mio caro Naledi, eri meglio tu, di gran lunga, con la tua arancina nel mezzo del cranio. Pian piano gli studiosi che ti hanno ridato al mondo scopriranno altre cose di te, e scriveranno un’altra pagina di quella storia che ci vuole tutti discendere dalle scimmie. Sono certa che tu sapevi già distinguerti da loro, e che ti ritieni imparagonabile. Volevo ringraziarti, carissimo, per aver mostrato ancora un volta la fantasia del buon Dio, e il suo disegno imperscrutabile sull’eredità che si è scelto. Se tu sei con Lui e sai tutto, compatisci che in due milioni e passa di anni non siamo riusciti a vincerti in pietà, primo segno di umanità vera. Naturalmente, arrivederci, un giorno.