NEW YORK — Uno ad uno, con foto, età e luogo dove abitavano fino a quel giorno lì di quattordici anni fa, quando le torri se li sono mangiati. Ho acceso la televisione un momento questa mattina (ieri, ndr). Certo che avevo presente che oggi era “l’11 settembre”. E’ anche il compleanno di un nostro figlio. Due cose così non possono sfuggire di mente, una ti rammenta l’altra. No, non è vero, tutto può sfuggire di mente. Come si dice da queste parti, “We remember best what we love most”, ci si ricorda quel che si ama, il resto un po’ alla volta se ne va. Detto sinceramente ho acceso perché ero curioso di sentire che cosa avrebbero detto il presidente, il sindaco, i commentatori della tv …
Cosa si dice quando ci si trova a commemorare per la quattordicesima volta una tragedia come questa? Ci possono essere le stesse lacrime? Ci può essere lo stesso lancinante dolore di quando quelle vite erano state appena strappate a questo mondo? No, ed è giusto che sia così. Ma allora cosa resta? E c’è forse ancora qualcosa da dire? Mi sono chiesto molte volte se avrei dovuto scrivere. Dovuto certamente no. Voluto? In questi anni l’avevo sempre fatto, ma ieri no. Che parole avrei dovuto tirar fuori? Quale splendido artificio di pensiero, commovente ed originale? Ho detto una preghiera. Amen. E se avessi proprio dovuto scrivere qualcosa avrei detto: “La vita è un grande Mistero”. Quando ho acceso la televisione non sapevo cosa aspettarmi. Suonavano le cornamuse, e quelle una fitta al cuore te la danno sempre.
Poi, nel silenzio più profondo, è cominciata la litania dei nomi. Erano spose, figli, fratelli e sorelle a chiamare gli scomparsi, succedendosi a due a due su di un piccolo podio. Chiamavano quei nomi uno alla volta, tenendo per ultimo di quelli a loro affidati il proprio familiare che salutavano con un breve e tenero pensiero. E lì mi sono fermato. Non ho aspettato i “discorsi”, non so neanche se li hanno fatti. Mi sono bastati quei pochi minuti per sentire ancora una volta quanto sconfinato sia il nostro bisogno di essere amati. Voler essere ricordati non è altro che voler essere amati. Noi non siamo fatti per dimenticare, eppure ci dimentichiamo, non siamo fatti per essere dimenticati, eppure ci assilla il pensiero di esserlo. C’è altro da dire?
L’America di oggi, 11 settembre di quattordici anni dopo, non sta bene. Dalle macerie delle Twin Towers abbiamo cavato fuori tante guerre e le guerre ci hanno inimicato il mondo intero. Ed è ovvio che sia così — forse che le guerre possono generare altro che feroce inimicizia?
Ma è tutta la nostra società che scricchiola, che mostra la fragilità di quell’adolescente che è, tra confusione razziale, sgretolamento della famiglia tradizionale e singhiozzi dell’economia. E’ una società che non sa riconoscere che la vita è un grande mistero, e noi non ne siamo i padroni. God bless America, e che ci spalanchi di nuovo il cuore. Essere voluti bene, essere ricordati è possibile solo nella coscienza che la vita è un grande Mistero. E noi non ne siamo i padroni.