I dati del Rapporto del ministero del Lavoro sui minori fuori famiglia mettono in evidenza che nei cinque anni fra il 2007 e il 2012 gli affidi sono scesi del 16%. L’Italia sta perdendo la capacità di farsi carico dell’infanzia in difficoltà. Di certo il calo non è imputabile a un crollo del bisogno: in questi anni di crisi è inverosimile immaginare che le famiglie in difficoltà e i bambini che hanno bisogno di un aiuto siano scomparsi. Più ragionevole invece immaginare – come tante voci sul campo testimoniano da tempo – che il nostro sistema di tutela e protezione dell’infanzia non sia più in grado di agire come dovrebbe. Ma forse anche le famiglie affidatarie non si sentono più sufficientemente tutelate nella loro capacità di mettersi in gioco a tutto campo per prendersi cura di bambini in difficoltà. Vivono spesso nell’ansia che il bambino possa essere sottratto alle loro cure e dato in adozione ad altri che nulla sanno di lui e che fino a quel momento sono stati degli estranei per il bambino che potrebbe sentirsi abbandonato, tradito, due volte.
Sembra un fatto ovvio e scontato, ma la realtà di cui facciamo esperienza ogni giorno ci dice che non sempre è così. Non è scontato essere amati nella famiglia in cui si nasce, ma a volte non è scontato neppure essere amati in una famiglia adottante o in una famiglia affidataria. Eppure quando questa speciale alchimia di affetti e di legami duraturi si crea, ed un bambino è amato e si sente amato dalla piccola comunità che chiamiamo Famiglia, allora questo rapporto va salvaguardato ad ogni costo, modificando la legge se questo è necessario. E’ quanto accade con l’attuale disegno di legge che consente alle famiglie affidatarie di poter adottare il bambino accolto in affido, mentre fino ad oggi questa soluzione appariva preclusa, proprio per le sostanziali differenze che sussistono tra l’affidamento familiare e l’adozione.
1. l’affido è temporaneo, l’adozione è definitiva: nell’affido si accoglie un bambino la cui famiglia sta attraversando un periodo di crisi, nell’adozione si accoglie un bambino per cui si è accertata la situazione di abbandono;
2. nell’affido rimane sempre il legame con la famiglia d’origine, il bambino vede i propri genitori che rimangono un riferimento per lui e che possono dare indicazioni riguardo l’educazione e l’istruzione del bambino; nell’adozione il legame con la famiglia d’origine viene interrotto per sempre;
3. nell’affido il bambino mantiene il proprio cognome e la propria residenza e non cambia la natura giuridica del rapporto tra il minore e i suoi genitori; nell’adozione il bambino diventa figlio a tutti gli effetti prendendo il cognome dei genitori adottivi e assumendo diritti e doveri;
4. nell’affidamento, per legge, non sono previsti limiti rispetto alla differenza di età fra minore ed affidatari.
Ma oggi occorre prendere coscienza di un nuovo dato di fatto: spesso l’affidamento – istituto per sua natura a tempo determinato – non è più «temporaneo» ma si prolunga, dando origine a rapporti solidi e profondi tra affidato e famiglia che lo accoglie. E’ questa l’osservazione alla base del disegno di legge in discussione alla Camera e già approvato dal Senato. Una legge che mira a sfumare la distinzione fin qui assoluta tra affidamento e adozione e a consentire, laddove sia nell’interesse del minore, l’adozione da parte della famiglia affidataria per non spezzare il principio della «continuità affettiva». La legge sottolinea che quando l’affido supera i 24 mesi – e secondo un rapporto dell’Istituto degli Innocenti del 2011 questo accade in oltre il 60% dei casi – capita non di rado che un bambino o una bambina, già provati da una prima separazione, siano sottoposti ad una seconda dolorosa frattura e “trasferiti” a una terza famiglia. Proprio per ovviare a queste dolorose situazioni, la legge propone, in quattro brevi articoli, che il giudice che deve decidere sull’adottabilità di un minore affidato tenga conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria, sempre ovviamente che quest’ultima chieda di poterlo adottare e che sia in possesso dei requisiti che la legge richiede agli aspiranti genitori adottivi. La legge prevede che anche nel caso in cui la famiglia adottante sia un’altra, vada tutelato, «se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento».
Alcune associazioni hanno fatto presente il rischio che si possa utilizzare l’affido familiare come una “scorciatoia” per l’adozione che verrebbe estesa a soggetti privi dei requisiti previsti dall’attuale normativa in tema di adozione. In realtà la legge attuale vuole tutelare soprattutto il valore della relazione instauratasi tra il bambino e la sua famiglia affidataria, il suo diritto ad essere amato. Il passaggio dall’essere famiglia affidataria di un minorenne al divenirne famiglia adottiva deve essere circoscritto ai casi in cui gli affidatari siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge 184/83: essere coniugati, dimostrare la stabilità del rapporto di coppia, possedere una certa differenza di età con il minorenne, il che evita improprie derive verso l’adozione di minorenni da parte di persone single o anziane. Tutelare le relazioni affettive del minore è senza dubbio un concetto positivo: nell’attuazione però occorre evitare alcune potenziali manipolazioni del testo di legge. Occorre incrociare stabilità e durata, è ovvio che non si può fissare un lasso di tempo, perché per un bambino piccolo due anni sono tantissimi, per un adolescente meno». Il passaggio dall’affido all’adozione dovrebbe avvenire solo nei casi in cui la famiglia affidataria possieda i medesimi requisiti richiesti dalla legge alle famiglie adottive, a cominciare dalla convivenza e dalla differenza di età con il minore.