Nella primavera del 1984 presi parte al Pellegrinaggio alle radici dell’Europa, un’iniziativa dell’allora Movimento Popolare, che attraversò l’Europa da ovest a est facendo tappa nei centri più significativi della cultura, della politica e delle radici cristiane europee. Il pellegrinaggio si spinse fino oltre l’allora cortina di ferro, arrivando a Praga. Sembra un tempo lontanissimo, c’era ancora il muro di Berlino, la guerra fredda stava toccando uno dei momenti di scontro più alti, armi nucleari erano disseminate ovunque, a ovest come a est dell’Europa. Molti pensavano si fosse giunti agli ultimi giorni, lo scontro sembrava inevitabile. Nei paesi mediorientali e nord africani si viveva più o meno in pace, nella Siria oggi devastata pur sotto una dittatura la convivenza tra islamici e cristiani era un dato di fatto consolidato da secoli e gli unici immigrati erano, già da alcuni anni, sparuti gruppi di marocchini che, accolti con simpatia, giravano le spiagge estive del nostro paese a vendere tappeti e asciugamani. L’attore Teo Teocoli si era inventato l’imitazione caricaturale di uno di loro che aveva spopolato in televisione.
Terminato quel pellegrinaggio mi fermai qualche giorno a Colonia, in Germania, ospite di amici appartenenti a una locale associazione cattolica. Tra le tante cose che mi fecero vedere, mi portarono in visita a un centro islamico i cui componenti provenivano dalla Turchia. Da decenni i turchi emigravano in Germania; non c’erano burqa o veli islamici, c’era un’atmosfera splendida di amicizia e integrazione effettiva tra tedeschi e immigrati musulmani. I kebab in Italia non sapevamo manco cosa fossero.
Colonia, città completamente rasa al suolo dai bombardamenti angloamericani della seconda guerra mondiale e ricostruita da zero, aveva (e ha) nell’immenso duomo l’unico edificio sopravvissuto indenne a quei bombardamenti. L’effetto era straniante: in mezzo a case, negozi, locali, strade modernissime quel grandioso edificio, che sembrava ancora annerito dai fumi degli incendi delle bombe, dominava silenzioso un mondo che era rinato da zero (ma in che modo?), quasi il vestigio di un passato scomparso per sempre.
Proprio la stessa cattedrale che la notte di capodanno ha fatto da testimone di uno degli episodi più sconcertanti degli ultimi tempi, la caccia alle donne da parte di gang “nordafricane” e “mediorientali”. Le ipotesi su quanto successo continuano ad accumularsi. Una cosa è certa: il commento più comune e per certi versi plausibile è che “i barbari sono arrivati a casa nostra”. Come accadeva ai tempi dell’impero romano quando orde di vandali e assassini penetravano i confini a razziare, violentare e uccidere. (Che poi anche l’impero romano, oltre a essere un simbolo di civiltà e ordine sociale, fosse anche uno stato che si reggeva sullo schiavismo e la violenza, a pochi piace ammetterlo, al netto di ogni giusta considerazione sulla storicità dei tempi).
Dopo la notte di capodanno a Colonia ci sentiamo però oggi tutti cittadini di un impero ricco e sereno violato dai nuovi barbari. Che abbiamo lasciato entrare noi e che adesso si vorrebbero ributtare in mare. Che contrasto, tra i tedeschi che accolgono i rifugiati dalla Siria cantando l’inno alla pace di pochi mesi fa e il quadro odierno.
Quell’impero romano invaso dai barbari non è così diverso dalla gaia Europa occidentale che per decenni ha sfruttato, dimenticato, irriso i barbari che stavano al di là del Mediterraneo. Solo adesso che sono arrivati qui in mezzo a noi si scoprono e si ha una paura folle. Tutto è saltato per aria, anche quei centri islamici esempio di convivenza che avevo visitato decenni fa.
Ovviamente non è così semplice come in molti vorrebbero farci credere. Chi erano veramente i componenti delle gang della notte di capodanno e cosa volessero fare veramente non è chiaro a nessuno, ma di violenze analoghe se ne compiono continuamente tra le nostre strade e nelle nostre case, e non da parte di immigrati islamici, ma di figli dell’occidente, tra Quarto Oggiaro e Scampia. Al momento ci sono 32 sospetti della notte di Colonia che sono stati fermati e interrogati: nove sono algerini, otto marocchini, quattro siriani, cinque iraniani, un iracheno, più un serbo, un cittadino americano e tre tedeschi che si sono uniti al branco.
A cercare di andare a fondo di un fatto che attende ancora accertamenti, vien da dire che in realtà non è in atto uno scontro di culture come qualcuno ama far credere. In realtà l’occidente e il mondo islamico hanno abdicato da tempo alle loro origini, quelle radici che trent’anni fa eravamo andati cercando in quel pellegrinaggio attraverso l’Europa. E che magari saremmo dovuti andare a cercare anche nel mondo islamico. E’ il nichilismo totale, il mors tua vita mea che oggi detta le regole, tra l’impotenza e l’incapacità di dare giudizi dei nostri governanti nascosti al sicuro nel Parlamento europeo e nelle loro cancellerie. Che fingono di dimenticare o che nascondono sotto il tappeto le responsabilità che hanno per aver portato a questa situazione: “se ci aiutate a fare la pace in Siria, noi qui da voi non ci veniamo”, disse un ragazzino siriano a un giornalista mesi fa. Non disse che quella guerra in Siria era stata scatenata dai cinici interessi e dall’incapacità dell’occidente a giudicare la realtà.
Dicono che nell’Alto Adige, tra i sentieri e le montagne, ci siano circa centomila crocifissi di legno lungo le strade solitarie dove una volta la gente viveva del suo duro lavoro nei campi e con le mandrie e che oggi sono attraversate solo da annoiati turisti. Ovunque si fermavano, quelle popolazioni lasciavano un crocefisso come testimonianza di quello a cui appartenevano e che dava senso alle loro esistenze.
Come l’annerito duomo di Colonia che silenzioso osserva il nuovo impero romano andare a pezzi, quei centomila crocifissi di legno stanno lì silenziosi e trascurati, nel dimenticatoio, una volta segno di un’identità precisa. Sono un esercito imponente che ricorda qualcosa che non sappiamo più riconoscere. Il mondo è impazzito e si trascina verso la fine, proprio come in quei gironi del 1984. Chi può dire cosa accadrà?
Il prossimo 17 gennaio la Chiesa celebra la giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il testo del messaggio del papa è già stato reso noto. Fra le altre cose si legge: “In questo momento della storia dell’umanità, fortemente segnato dalle migrazioni, quella dell’identità non è una questione di secondaria importanza. Chi emigra, infatti, è costretto a modificare taluni aspetti che definiscono la propria persona e, anche se non lo vuole, forza al cambiamento anche chi lo accoglie. Come vivere queste mutazioni, affinché non diventino ostacolo all’autentico sviluppo, ma siano opportunità per un’autentica crescita umana, sociale e spirituale, rispettando e promuovendo quei valori che rendono l’uomo sempre più uomo nel giusto rapporto con Dio, con gli altri e con il creato?”. La scommessa è questa.