Un cardinale veneto, un detenuto cinese e un comico toscano. Sembra l’inizio di una barzelletta surreale invece è stata l’immaginifica presentazione del nuovo libro di Papa Bergoglio, una intervista monotematica, concessa al giornalista Andrea Tornielli, per i tipi della Piemme, da ieri nelle librerie di 89 Paesi del mondo. Il nome di Dio è Misericordia, è il titolo vergato a mano da Francesco, deciso a fare chiarezza su una parola, un concetto, un’idea diventati distintivi del suo pontificato eppure finiti per essere banalizzati o equivocati da gran parte degli osservatori. E’ inutile dire che il mattatore della presentazione in territorio vaticano, nella grande sala convegni dell’Augustinianum, è stato l’ultimo della terzina, Roberto Benigni, testimonial d’eccezione, che arrivato a valanga, facendo rotolare decine di fotografi ed obiettivi, non ha esitato ad accostare la sua maschera da guitto al viso di Francesco stampato sul retro del volume.
Un Benigni che non ha deluso la platea tra cui spiccavano laici impenitenti come Eugenio Scalfari e cultori tormentati del dubbio come Luciano Violante, accanto a cardinali di Curia e giornalisti con molto da farsi perdonare. La solita furbesca, cabarettistica, strabordante spavalderia del comico toscano ha aperto un intervento che è andato modificandosi nel giro di pochi minuti in una lectio dotta, persino snob, sul tema principe. Con tanto di citazioni bibliche, riferimenti ai padri della Chiesa e grandi teologi del 900. Un Benigni dotto, azzardato teologo, che ha messo la sua verve da comico a servizio del cuore del cristianesimo, l’amore sconfinato di Dio, quella “cascata di bene” che sembra aver totalmente conquistato anche il folletto toscano. Benigni che confessa di essersi alzato sulla punta di piedi come Zaccheo, per lanciare uno sguardo a quel Papa gigantesco per cui non basta la pur vasta selezione di superlativi messi in campo. Benigni scoppiettante, energico, incontenibile ma mai irriverente che tra battute fulminanti e piccoli retroscena, conduce al cuore di un volume che ruota intorno alla parola chiave del pontificato di Francesco, Misericordia, e che più di altri spiega il centro dell’annuncio e del ministero del successore di Pietro.
Benigni che confessa un’ammirazione sconfinata, per il Bergoglio rivoluzionario, talmente pieno di Misericordia da “poterne vendere ad etti”, infaticabile trascinatore della “Chiesa verso Gesù Cristo e il Vangelo”. Benigni che rivela di essersi messo sull’attenti alla prima telefonata. Non solo quella arrivata dopo il successo mediatico dei 10 comandamenti, seguita dall’omaggio pubblico del pontefice. Ma quella in cui timidamente lo si invitava a sedersi accanto al segretario di Stato, card. Parolin e a un “avanzo di galera” con gli occhi a mandorla e una bellissima storia di conversione da raccontare. Benigni che per papa Francesco farebbe di tutto, “dalla guardia svizzera, all’autista della papa mobile” e che finisce per diventare magnifico interprete del pensiero bergogliano, ermeneuta improbabile ed efficacissimo del cristianesimo della gioia e del dolore, dell’amore e del perdono.
E’ lui che spiega che la Misericordia non è “una virtù ferma, seduta in poltrona”, ma una “virtù attiva, severa, che va incontro ai peccatori e ai poveri”, e che in un mondo “pieno di paura e di rabbia” l’insegnamento del pontefice argentino “innalza i cuori senza annacquare il cervello”. Un Benigni che fa ridere, ma soprattutto pensare.
A commuovere invece ci ha pensato Zhang Agostino, detenuto di origine cinese del carcere di Padova, che ha raccontato la sua conversione, il suo doloroso e liberante incontro con la Misericordia di Cristo, la bellezza di una vita da peccatore inondata dalla Grazia. E le lacrime di sua mamma, novella Monica, quando le aveva confessato timoroso il desiderio di battezzarsi, l’innamoramento per Gesù, il senso ritrovato di una vita fino ad allora sbandata. Storie diverse e lontanissime, quelle del Roberto nazionale e dell’Agostino cinese, che hanno presentato il nocciolo di un libro che si legge in poco tempo, talmente piccolo da portare in tasca, come raccomandato da Benigni, indispensabile per comprendere il pontificato di Bergoglio e il suo incessante annuncio della gioia cristiana. Un’accoppiata vincente, quella del detenuto e del comico, che ha conquistato anche il card. Parolin, candido nel promuovere il Benigni teologo, traghettato all’essenziale della fede dallo straordinario lavoro sulla Divina Commedia, e serio nel chiedere una testimonianza meno noiosa del cristianesimo. Perché la fede è bella, come la vita. E papa Francesco ancora una volta ci spiega il perché.