E così Martina Levato è stata condannata con rito abbreviato a 16 anni di reclusione, per aver sfregiato con l‘acido un ragazzo che non era stato, come gli altri, uno dei suoi amori giovanili, e che non la conosceva nemmeno. Un tragico errore, uno scambio di persona, e lui si è trovato a dover affrontare lo scempio del suo viso; le sue magre parole di ieri in attesa della sentenza indicavano imbarazzo e reticenza. Ma lei paga il reiterato rito da chissà quale incolmabile impurità, visto che la penitenza è stata finora delle vittime e, solo dopo questa condanna che si aggiunge alla prima, è della studentessa della Bocconi, alla quale con ogni probabilità non mancava niente per una vita normale.
L’aspetto più inquietante per chi vive nelle strade della città è quello di essere sorpreso da un gesto violento e devastante, che è toccato in sorte al giovanotto, ma avrebbe potuto colpire chiunque. Si tratta insomma di uno degli innumerevoli aspetti di una sicurezza messa a dura prova, dopo che neppure le aule del Tribunale sono state immuni dalla violenza omicida.
Ma ciò che soprattutto non è indagabile è il fondo dell’abisso nella mente e nelle mani di Martina Levato e dei suoi complici, il fidanzato, Alexander Boettcher, ora padre del piccolo nato dalla loro relazione, e l’amico con lei condannato oggi. Si sa per esperienza che il cuore umano, là dove si annida la libertà, è impenetrabile e che le decisioni prese e le azioni compiute hanno una radice misteriosa che neppure la psicanalisi in tutte le sue diramazioni riesce a scandagliare. La Chiesa parla a questo proposito di peccato originale, ponendo così in rapporto l’ambiguità umana con un segreto rifiuto della paternità di Dio. Ma, detto questo, non è spiegato nel particolare in che cosa consista la tragica deviazione di un amore che avrebbe potuto svolgersi come una vicenda simile a tante altre e che invece ha scelto una forma aberrante di liberazione dal passato, un rito stravolto di purificazione, insomma un perdono cercato con le proprie forze e perciò inevitabilmente violento.
La Bibbia dice, e lo ha ricordato di recente papa Francesco, che il demonio è accovacciato alla nostra porta e l’angelo della luce, precipitato nelle tenebre, tenta di strappare alla sua preda il lume della ragione e talvolta torce il desiderio di bene in azione perversa. Non è dato sapere, e in fondo non interessa a chi non ha l’onere di giudicare e di emettere le sentenze, come una ragione stravolta ma lucida sia giunta a scegliere, programmare, volere e compiere la violenza che oggi è stata punita, se vi sia stato, e da parte di chi, una sorta di plagio o almeno di influenza cattiva.
Questa brutta vicenda, dolorosa per chi ne è stato vittima, non meno che per le famiglie dei colpevoli e per il loro bimbo, ancora ignaro della complessità della vita, possa trovare nel carcere il luogo in cui espiare quella pena che la società infligge a chi ha lacerato la giustizia e che ha i connotati della realtà, dura, ma almeno sana nella sua oggettività. Non lasciata, verrebbe da dire, al fumo nocivo dell’egotismo.