E’ lecito “affittare” il corpo di una donna, così come si affitta un appartamento vuoto, al fine di ottenere un figlio da parte di una coppia etero o omosessuale? La maternità surrogata è un diritto o costituisce una nuova forma di schiavitù da parte del mondo ricco e “civilizzato” ai danni dei più poveri della terra? Sono le domande che stanno al centro di uno dei dibattiti intellettuali più interessanti: quello che segna il pensiero femminista odierno diviso al proprio interno tra un’anima individualistica e libertaria — l’utero è il mio e lo gestisco io —, ed una sociale per la quale la libertà non può esercitarsi violando quella degli altri.
Di questo dibattito nei media e nel palazzo del potere è filtrato ben poco, come tutto ciò che abbia oggi un minimo di spessore intellettuale. Eppure si tratta di una discussione cruciale non solo per il futuro del pensiero femminista ma per la stessa idea della sinistra. La divisione tra le due anime del femminismo rappresenta, infatti, la differenza tra due concezioni della sinistra. Per la prima, quella individualista, l’essere “progressisti” indica, come il “68 pensiero” che ne è all’origine, la rivendicazione dei diritti individuali. Questi variano a seconda del progresso tecnico, biomedico, che offrendo nuove opportunità consente anche nuovi diritti. Il potere è diritto e il diritto è potere.
Quanto più si allargano ricchezza e tecnica tanto più l’individuo è posto in grado di assecondare i propri desideri. Tra questi rientrerebbe il diritto a possedere un figlio. Per una coppia di omosessuali maschi questo possesso può esercitarsi solo tramite una madre surrogata, un utero in affitto. L’individualismo “progressista” non trova in ciò nulla di sconveniente. Se il donatore di sperma e la madre affittata sono d’accordo e se questo viene siglato da un contratto non ci sono problemi: due libere volontà si incontrano nel reciproco interesse.
Il progressismo rappresenta qui la forma mentis dell’individuo proprietario per il quale l’acquisizione dei diritti coincide con l’ampliamento della sfera della proprietà. E’ la forma mentis che si è imposta nell’era della globalizzazione, l’era del post-’89 in cui il capitalismo, dopo la sua vittoria sul comunismo, non ha avuto più bisogno di una legittimazione etica per affermarsi. E’ il “68 pensiero” senza rivoluzione, il trionfo dei diritti individuali senza l’utopia del cambiamento sociale.
Questa mentalità, in totale contrasto con la tradizione social-popolare della sinistra storica, è diventata egemone nella nuova sinistra grazie alla generazione proveniente dal ’68. Donde l’accettazione acritica della mentalità “progressista” che, di fatto, significa la subordinazione culturale al neocapitalismo e ai suo processi di déracinement. A questa sinistra modernista si oppone oggi, in seno al pensiero femminista, non la “vecchia” sinistra, che non esiste più, ma una posizione sociale-relazionale che, senza riandare al marxismo storico, riscopre però la parte genuina della propria tradizione, e questo in una forma che consente, su alcuni punti, l’incontro con la posizione sociale cristiana. Tra questi punti c’è certamente la quaestio dell’utero in affitto e della strumentalizzazione delle madri surrogate. La discussione è partita dalla Francia. Syilviane Agacinski, fondatrice del Collegio internazionale di filosofia con Jacques Derrida, docente presso l’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi ed autrice di Corps en miettes (“Corpi sbriciolati”) edito da Flammarion, è una delle protagoniste del nuovo femminismo. E’ la voce dell’associazione Corp (Collettivo per il rispetto della persona) che ha promosso il convegno del 2 febbraio prossimo, nella sede del Parlamento francese, per l’abolizione della maternità surrogata (“Assises pour l’Abolition universelle de la Gpa”).
Intervistata da Avvenire, la Agacinski osserva come “Molti media si sono smarriti volendo vedere in questa pratica sociale un presunto progresso. Hanno parlato molto della felicità delle coppie che vogliono un bambino a ogni costo, al punto che si è radicata l’idea che esista un diritto al figlio, indipendentemente dai mezzi per farlo nascere. Nonostante questa propaganda, si comincia a comprendere, grazie a numerosi documentari, la violenza che rappresenta, per le donne, l’ingresso della maternità su questo mercato. Le cose si sono mosse in Francia negli ultimi anni, soprattutto a sinistra. Il Partito socialista ha condannato questa pratica a partire dal 2010. Il presidente della Repubblica François Hollande e il premier Manuel Valls hanno escluso qualsiasi legalizzazione della maternità surrogata in Francia. Non abbiamo a che fare con gesti individuali motivati dall’altruismo, ma con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini. Per di più, l’uso delle donne come madri surrogate poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti, che appartengono alle classi sociali più agiate e ai Paesi più ricchi, comprano i servizi delle popolazioni più povere su un mercato neo-colonialista. Inoltre, ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana. Ma si tratta giuridicamente di una persona e non di una cosa”.
La provocazione della Agacinski ha aperto un dibattito in seno alla corrente femminista che costituisce, insieme a quello sui rapporti tra occidente ed islam, la discussione intellettuale più interessante nell’attuale momento storico. In Italia talune tra le voci più significative del pensiero femminista hanno ripreso gli interrogativi dell’autrice francese. Tra esse vi è Luisa Muraro, filosofa e figura di riferimento del femminismo italiano. Fermamente contraria alla pratica dell’utero in affitto, equiparata ad una sorta di prostituzione legalizzata, la Muraro afferma che “La causa è un neoliberismo — non economico ma culturale — che predica la totale disponibilità del proprio corpo. Il che poi era la parola d’ordine nel passato di alcune femministe con quell'”io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito (la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone). Per questo micidiale neoliberismo tutto deve tradursi in merce, tutto si compra e si vende. Non è solo un business, è una cultura, una tendenza generale a farci ragionare in questi termini. Poi però è vero che dietro ogni falso diritto c’è sempre un business che lo rafforza. I popoli europei sarebbero molto lontani dagli eccessi di questo capitalismo statunitense, ma è difficile svincolarsi dalle leggi del mercato globalizzato. Oggi combattere davvero per la libertà significa riuscire a gestire con saggezza la potenza tecnoscientifica e soprattutto difendersi dal mercato, che non è più progresso, è una macchina che stritola la gente. Dobbiamo dirlo ai giovani”.
La discussione non coinvolge solo la Agacinski e la Muraro. Ritroviamo una posizione analoga in Livia Turco, presidente della Fondazione “Nilde Iotti: le donne, la cultura, la società”. Per la Turco l’utero in affitto è “Una pratica semplicemente abominevole. … Dopo tante battaglie di civiltà, oggi il corpo della donna è ridotto alla più bieca forma di mercificazione”.
Per l’ex ministro Pd siamo di fronte ad una “ottusità e subalternità culturale al mercantilismo che nella nostra società prevale su tutto. Ma anche al pesante relativismo etico, per cui tutto è diventato diritto. Da quando in qua esiste il diritto al figlio?”. E’ la stessa critica che torna in un’altra esponente storica della sinistra, Ritanna Armeni la quale, pur difendendo la genitorialità delle coppie gay, sull’utero in affitto non ammette scorciatoie. “In linea di massima — afferma — sono d’accordo con ciò che parte del movimento delle donne oggi dice, cioè che l’affitto dell’utero è profondamente ingiusto, perché tu compri il corpo di una donna per diventare genitore tu stesso. Mi colpisce l’assenza del limite: le coppie che ricorrono a questa pratica, in gran parte eterosessuali, vogliono avere tutto. Pretendono un figlio in un certo modo, di averlo senza perdere nove mesi di lavoro… naturalmente solo tra persone molto ricche. Sotto sotto c’è la stessa filosofia di vita per cui molte donne nella nostra società hanno adottato il cesareo: è più pratico. O per cui anche a 60 anni si pretende di diventare madri… Sarebbe bene generalmente che tutti avessimo forte in noi l’accettazione del limite, almeno quando le questioni sono così delicate. Poi dove metterlo, questo limite, non è facile stabilirlo”. Per la Armeni l’utero in affitto non può essere presentato come un “dono” che una donna fa a chi non ha la possibilità di generare. L’interpretazione filantropica della madre surrogata è un’operazione ideologica. “La realtà dei fatti non è questa. Nessuna donna accetterebbe di fare un figlio per altri come donazione gratuita: per nove mesi se l’è cresciuto dentro, con lui ha instaurato la più stretta relazione che si possa avere con un altro essere umano. Usciamo da questa ipocrisia, è una vera compravendita di donne sfruttate da ricche coppie omosessuali o eterosessuali occidentali, disposte a pagare centomila dollari per comprare la loro maternità”.
Com’è evidente i punti discriminanti sollevati dal femminismo che si oppone all’utero in affitto sono i seguenti: la denuncia della mercificazione del corpo delle donne, novelle schiave della procreazione; la riduzione del bambino a prodotto confezionato secondo i desideri formulati in contratti; la recisione violenta del legame tra il nascituro e la madre naturale. Su questi punti si gioca la differenza tra il femminismo etico e quello libertario ed individualistico. Il primo sorge, in qualche modo, proprio dal ripensamento critico del secondo. Sorto alla fine degli anni 60, in antitesi all’autoritarismo maschile e patriarcale, il femminismo storico fece del motto “Il corpo è mio e lo gestisco io” il proprio ideale di liberazione. A 40 anni di distanza quel motto è divenuto lo slogan dell’individualismo proprietario e mercificante del capitalismo odierno.
Quello che trova la sua consacrazione nel volume di Annalisa Chirico Siamo tutti puttane. Contro la dittatura del politicamente corretto (Marsilio 2014), secondo il quale la prostituzione generalizzata, l’uso commerciale del proprio corpo per promuovere la propria immagine e fare carriera, è un “diritto” che non può essere negato. Qui il femminismo diviene un tassello dell’ideologia del libero mercato priva di ogni limite etico. Donde la revisione odierna del femminismo storico che, non dimentico del volto sociale della sinistra, non accetta questo approdo sul terreno della destra “liberal”.
Come scrive Ida Dominianni: “‘Il corpo è mio e lo gestisco io’, slogan inventato quarant’anni fa per esprimere la volontà di riappropriarsi del corpo femminile sequestrato dal patriarcato, può servire oggi a legittimarne spensieratamente la prostituzione nel post-patriarcato? Il radicale cambiamento del contesto in cui viviamo rispetto a quarant’anni fa non cambia anche il significato delle enunciazioni di allora, o non ci obbliga a precisarle? L’idea della sovranità assoluta sul nostro corpo, tipica della baldanza del primo femminismo, non dovrebbe cedere il passo a una concezione più matura del soggetto non-sovrano… ?”. Posizione, questa della Dominianni, condivisa pienamente da Marina Terragni.
Il soggetto “non sovrano” è quello che non si lascia risucchiare dai sogni di onnipotenza indotti dalla tecnica e dagli enormi interessi commerciali in gioco, che evita l’equazione desideri-diritti. Come afferma Paola Tavella: “Maternità e genitorialità non sono un diritto. Sono un desiderio, un’aspirazione, un istinto, ma non un diritto che ci porta oltre i limiti dell’umano. L’utero in affitto è una pratica disumana in cui la tecnoscienza si permette di fare cose mostruose senza alcuna remora. Io non giudico le singole storie, e nemmeno voglio fare moralismi, ma dobbiamo dire che la maternità surrogata è l’espressione di un capitalismo spietato, di un’ingiustizia clamorosa”.
Le voci che abbiamo qui ricordato — Agacinski, Muraro, Turco, Armeni, Dominianni, Terragni, Tavella — non sono le uniche a condividere la critica al femminismo individualista-borghese. Di questa critica la tematica dell’utero in affitto è il punto discriminante, quello che segna la differenza tra una concezione libertaria ed una solidale della femminilità. Quest’ultima si è espressa in un documento importante, un appello da parte dell’associazione “Se non ora quando Libere” contro la pratica dell’utero in affitto in totale sintonia con la campagna Stop Surrogacy Now.
“Noi — scrivono gli autori del manifesto — rifiutiamo di considerare la ‘maternità surrogata’ un atto di libertà o di amore. In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: ‘committenti’ italiani possono trovare in altri paesi una donna che ‘porti’ un figlio per loro. Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato. Vogliamo che la maternità surrogata sia messa al bando“. Tra i firmatari ci sono Paolo Matthiae, Stefania Sandrelli, Ricky Tognazzi, Simona Izzo, Marisa Patulli Trythall, Peppino Caldarola, Livia Turco, Giuseppe Vacca, Cristina Comencini, Francesca Izzo.
Si tratta di un documento importante in cui prende forma, per la prima volta, un pensiero del femminile in chiave non individualistica. Come scrive Francesca Izzo: “La discussione riguarda dunque un tema fondamentale per le nostre società democratiche, cioè se la libertà coincida sino ad identificarsi con il diritto di proprietà o se, oltre all’individualismo proprietario, esiste o resista un’idea diversa del soggetto e della sua libertà. Nell’appello noi ci rifiutiamo di considerare la maternità una cosa che possa essere messa sul mercato o anche donata, ci rifiutiamo di pensare la libertà come diritto di proprietà. Il confronto si svolge tra idee diverse di libertà”.
Da qui, da una concezione relazionale e solidale parte un ponte con altre posizioni di pensiero la cui importanza, nell’attuale dibattito etico-politico, non può e non deve essere sottovalutata.