In diretta a Pomeriggio Cinque continua la cronaca del caso di Lidia Macchi con le vicende che oggi portano a parlare della teste chiave dell’accusa, ovvero quella Patrizia Bianchi che ha riconosciuto la calligrafia di Stefano Binda e che di fatto ha fatto arrestare l’ex compagno di classe di Lidia Macchi. Intervistata una vicina raconta che Patrizia non vuole farsi dare notorietà e non vuole rispondere ai giornalisti, ma nello stesso tempo dice come il giorno dei funerali della povera Lidia lei e Patrizia commentavano che “in quella piazza davanti alla bara c’era sicuramente anche l’assassino”. In seguito si parla anche della posizione di Don Giuseppe Sotgiu, oggi prete ma all’epoca amico di Lidia e che per molto tempo è stato sospettato di essere il killer. Il testa del dna lo ha scagionato definitivamente e dunque non si può parlare di assassino: semmai il problema ora rimane sull’alibi che in questi ultimi giorni sembra essere saltato per Stefano Binda e che allora era stato dato proprio da Giuseppe Sotgiu. Tutto quanto andrà però verificato dagli atti del tribunale, ma intanto viene data come indiscrezioni dai giornali e anche da Pomeriggio 5 ma che al momento non ha alcuna forma di certezza.



Anche oggi a Pomeriggio 5 viene affrontato il caso di Lidia Macchi, il caso omicidio in provincia di Varese che di colpo dopo 30 anni è stato riaperto con l’arresto di un presunto assassino, Stefano Binda: in questi giorni giornali, media e tv hanno inondato, esattamente come all’epoca dei fatti ma non sempre, e anche qui la storia si ripete, l’effetto di tutto questo clamore è positivo. In queste ore si cerca infatti di capire se le varie indiscrezioni lanciate nei giorni appena trascorsi sono veritieri o se alcuni stanno lanciando bufale senza verificare prima le varie fonti. Intanto, tra poco a Pomeriggio 5 verranno mostrate delle immagini in esclusiva dell’epoca che provano a far vedere il luogo dove venne ritrovata Lidia, violentata e poi accoltellata per 29 volte, e ci saranno altri collegamenti da Brebbia per sondare il terreno per quei testimoni che conoscono Stefano Binda. Le indagini proseguono e si cerca di capire se effettivamente è l’uomo ex compagno di scuola di Lidia ad essere il vero assassino e se, soprattuto, si può parlare di un unico killer e non siano invece due o più i responsabili della morte della ragazza. Tutte ipotesi circolate in queste ore ma nessuna davvero verificata, tutte tranne l’unico evento: l’arresto di Binda per la positività nell’esame calligrafico sulla lettera anonima inviata alla famiglia Macchi 29 anni fa.



In questi giorni il caso di Lidia Macchi è stato riaperto dopo l’arresto di Stefano Binda – qui sotto potete trovare il video che riepiloga tutta la storia fin dall’inizio – e in molti tra amici, conoscenti e testimoni riaffiorano per un caso di omicidio clamorosamente riaperto dopo 20 anni in pratica. Nella puntata di ieri su Rai1 di Porta a Porta, Bruno Vespa ha presentato un servizio in cui, oltre a ripercorrere le principali tappe della storia, si prova ad indagare e intervistare alcuni paesani amici di Stefano, nel paesino di Brebbia vicino a Varese doveva viveva il presunto assassino. Viene raggiunto un conoscente e compagno di elementari dell’uomo arrestato che oltre a riferire la sua incredulità su Stefano e l’accusa che pende su di lui, racconta alcuni dettagli del suo ex compagno: «è un uomo molto chiuso e timido, ha 3-4 amici e con loro forse di apre, ma con tutti gli altri rimane sempre molto distaccato anche se mai scorbutico, sempre comunque gentile». Nel frattempo si cerca di capire, tra gli inquirenti, se effettivamente l’uomo che ha scritto la lettera può essere poi davvero l’esecutore materiale dell’atroce delitto di quella povera ragazza del Varesotto. Clicca qui per poter vedere il video del servizio di ieri sera a Porta a Porta.



Proseguono le indagini e il caso su Lidia Macchi che non è per nulla concluso dopo l’arresto di Stefano Binda, accusato di essere l’assassino che 29 anni fa violentò e accoltellò più volte la ragazza del Varesotto. Nella mattina di oggi, mentre le sorgono ancora le polemiche dopo 30anni su presunti scoop, alibi e indizi mancanti, hanno parlato ai colleghi de Il Giorno le sorelle Piccolomo, che in un modo piuttosto particolare diedero il via ad un lungo filone di inchiesta che di fatto ha portato fino alle novità di oggi. «Siamo state d’aiuto e abbiamo dato l’input che ha messo in moto le indagini, se nostro padre è risultato estraneo buon per lui», così Nunzia “Tina” Piccolomo che con la sorella Cinzia avevano riferito all’epoca dei fatti al Sostituto Procuratore Carmn Manfredda che dal settembre ’86 abitavano in una casa in costruzione a meno di un km dal luogo del ritrovamento del corpo di Lidia. Era il 7 gennaio 1987 il giorno del delitto, loro erano bambine ma avevano comunque denunciato il padre che a più riprese le avrebbe nel periodo seguente minacciate di fare la stessa fine della ragazza di Varese. L’uomo, Giuseppe Piccolomo, è un ex imbianchino che ora sta scontando un ergastolo in carcere per l’omicidio delle “mani mozzate”, ovvero la pensionata Carla Molinari, uccisa a coltellate durante una rapina a Cocquio Trevisago e in seguito tagliandole anche le mani. Inizialmente fu accostato come possibile omicida di Lidia ma in seguito scagionato da quell’accusa: ma quelle indicazioni diedero il via alle indagini per cercare il vero assassino del caso Macchi. «Sono contento per la famiglia e sono contenta per Lidia e speriamo procedano bene le indagini», le parole delle sorelle.

Il caso dell’omicidio di Lidia Macchi non si è ancora concluso e anzi potremmo dire che ora più che mai è giusto che rimanga aperto. Quel ‘cold case’, quel caso freddo, come lo definiscono i media, è fra i delitti di lunga data avvenuti nel nostro Paese e ora Lidia Macchi ed i suoi familiari potrebbero finalmente ottenere la giustizia che richiedono da tanto, troppo tempo. La famiglia Macchi è giustamente chiusa nel proprio dolore ma anche i familiari di Stefano Binda –ad eccezione di un cugino di secondo grado- non hanno voluto parlare di quello che sta succedendo. Solo oggi la madre di Binda, Maria Botti, ha voluto pronunciare qualche parola sull’arresto del figlio Stefano. La donna afferma che “non può essere lui il mostro”, come ci riportano le pagine de Il Giornale, ancora incredula che il figlio possa in qualche modo essere responsabile di un omicidio così crudele.

Anche Patrizia, la sorella di Stefano, non crede alla colpevolezza di quello che per ora rimane ancora solo il presunto colpevole. “E’ una tegola che ci ha colpito in pieno”, riferisce Patrizia, chiusa con la madre nella casa e circondata solo dal dolore. Giselda, una lontana parente, ha riferito infatti che “la mamma e la sorella sono disperate e sono pochi quelli che sono riusciti a vederle in questi giorni”. Anche la famiglia di Lidia Macchi è attraversata dallo stesso stupore perché “Stefano venne insieme a don Giuseppe Sotgiu”, ricorda Paola Bettoni, la madre di Lidia, durante un colloquio con un giornalista del Corriere della Sera. “Erano legatissimi i due”, riferisce ancora la donna, “e in particolare il sacerdote era in ottimi rapporti con mia figlia”.

Di Stefani Binda, mamma Paola ricorda che “quel ragazzo era gentile ed educato, ecco com’era. Era addolorato e disperato per quanto era successo”. Aggiunge anche di non essere sicura che le indagini si possano dire concluse e “non so se quest’uomo è il responsabile o l’unico responsabile”. Rimane per ora da scoprire il motivo per cui Stefano Binda scrisse la lettera che lo ha portato poi all’arresto. “Mio marito corse a portarla in Questura. E’ evidente che non venne presa in considerazione. Avrebbero potuto tentare già all’epoca perizie grafologiche”.

Paola Bettoni aggiunge inoltre che “Se avessero indagato subito su quella lettera, invece che tenerla nel cassetto, sarebbe stato tutto diverso”. Inoltre secondo la donna uno dei misteri riguarda anche il DNA perché gli inquirenti avrebbero potuto sfruttarlo al meglio e compiere delle indagini un po’ più approfondite. Sono passati quasi 30 anni, 29 per l’esattezza, da quella notte in cui Lidia Macchi, appena vent’enne, venne uccisa con numerose coltellate. 

Era una ragazza piena di vitalità e circondata da tante amiche. Inoltre, aveva una forte fede in Dio, di cui si può trovare traccia nelle poesie che la giovane usava scrivere prima della propria morte. Parole toccanti ma anche di profonda fiducia verso un’entità superiore da cui si sentiva protetta e che i genitori hanno voluto pubblicare in seguito alla sua morte. Un testo in particolare lo riportiamo in versione integrale, estrapolandolo dal servizio di TgCom24 (che trovate QUI) in cui sono presenti anche altre tracce di quelli che erano i pensieri di Lidia Macchi.

 

“Nemmeno il dolore più atroce 
è privo di senso:
è così facile rispondere eccomi.
Anche nella notte più fonda, 
eccomi sono Tua prima di tutto.
Eccomi, ora nulla più mi fa paura. “