Una dodicenne di Pordenone si è buttata dal secondo piano della sua abitazione tentando di suicidarsi. Per fortuna la caduta è stata attutita e pare che non versi in gravi condizioni. Prima di lanciarsi nell’aria aveva lasciato due lettere, una per i genitori (chiedendo scusa per il suo gesto) e una agli amici di classe, quest’ultima molto breve, con un solo, laconico “Adesso sarete contenti”. La dirigente della scuola media frequentata dalla ragazza è caduta dalle nuvole: ha dichiarato che non c’era stato alcun segnale, non era emerso alcun disagio che potesse giustificare un simile gesto, non si era verificato nessun atto di bullismo.



Insomma, una ragazzina tenta il suicidio (e lo mette in atto in modo premeditato — pare che le lettere fossero state scritte giorni prima) e nessuno, famiglia e scuola, si accorgono che in quella testolina sta maturando una decisione tanto disperata ed estrema.

Ora ci si chiede come mai, dal momento che non si erano verificati atti di bullismo, come se la violenza del bullismo fosse l’unico motivo che può distruggere la speranza di un giovane. In realtà c’è qualcosa d’altro, molto più grave e invisibile, più difficile da scoprire e da monitorare. In quel film capolavoro che è “The Truman Show” c’è una scena molto significativa, che poi è quella in cui il protagonista comincia a rendersi conto che qualcosa non funziona nel mondo in cui vive. Truman fa dei gesti volutamente inconsulti, come prendere a borsate un operaio arrampicato su una scala, o mettersi al centro della via a fermare il traffico, come se fosse un vigile, e deve constatare che nessuno si cura di lui, che i suoi gesti, le sue mattate, la sua stessa figura è come invisibile. C’è, ma non esiste.



Truman fa l’esperienza che Hannah Arendt definiva con il termine “estraneazione”, tipica dell’individuo che vive in un regime totalitario, una “fra le più radicali e disperate esperienze umane”, che si esplica nel sentirsi superfluo. Scrivere su un biglietto “Ora sarete contenti” ai propri amici, significa in pratica dire: “Tolgo il disturbo, non dovrete più sopportare la mia presenza, non dovrete più darvi la pena di fingere nei miei confronti un interesse che non avete. Mi avete trattata da superflua e io mi faccio fuori da sola. Così sarete contenti, come per un fardello che non dovrete più portare”. E per provare queste sensazioni, per fare l’esperienza dell’estraneazione, non c’è necessariamente bisogno di essere sottoposti ad un atto specifico di bullismo: basta entrare ogni giorno in classe.



Che un tentato suicidio arrivi come un fulmine a ciel sereno è grave. Vuol dire che la scuola (tutta la scuola, non solo quella di Pordenone, ovviamente) non è abbastanza attenta a leggere le situazioni, non è abbastanza vigile, non riesce a penetrare in certe dinamiche che si verificano tra i giovani, specie quelle quotidiane, quelle meno eclatanti, ma costanti come una goccia d’acqua che scava lentamente. 

Ora, si dice, è giunto il momento di fare una legge seria che colpisca il bullismo. Sì, ma rendere trasparente, inesistente una persona non è nemmeno un atto di bullismo vero e proprio. E’ una forma raffinata di persecuzione, da regime totalitario. E per un giovane trovarsi “fuori” dal gruppo, trovarsi senza sponde, senza amici, sentirsi superfluo può davvero spingere ad atti insani.

Sul fatto di Pordenone sono in corso accertamenti e se anche dovessero emergere altre cause, il discorso di fondo non cambierebbe, perché l’esperienza dell’estraneazione è qualcosa che molti, troppi giovani sono costretti a vivere nella società e nella scuola.

Cosa si può fare? C’è un compito che riguarda l’istituzione scolastica, ed è quello di lavorare seriamente su questo problema, di prenderne coscienza e di rimanere costantemente in trincea a svolgere un ruolo educativo sempre più urgente, ma sempre meno messo a tema (perché tutto viene prima di questo e perché richiede una vera fatica e una grande responsabilità da parte degli adulti). E c’è un compito che riguarda la famiglia, che non riesce a stare più sufficientemente vicina ai figli e che li abbandona all’influsso invasivo dell’ambiente. E’ importante che la famiglia si renda conto che ha bisogno di alleati, di un aiuto esterno che possono essere sì i docenti, ma anche e soprattutto ambiti educativi (parrocchie, associazioni) dove il ragazzo può fare esperienze belle e positive, che lo aiutino a scoprire il proprio valore, a non sentirsi solo, a trovare qualcuno che “non sarebbe contento” nel caso in cui dovesse scomparire.

I fatti eclatanti di cronaca sono solo la punta dell’iceberg. Ogni giorno, andando a scuola, migliaia di giovani si sentono superflui, inutili, trasparenti. E si sentono morire. E non si può pretendere che tutti siano degli eroi.