Come ormai in tutta l’ultima settimana, Pomeriggio 5 anche oggi tratta del caso di Lidia Macchi, la ragazza di Varese di cui qui sotto potete leggere tutte le ultime notizie e aggiornamenti su presunti indizi. Come ha presentato Barbara D’Urso, nel raccontare tutte le ultime novità sull’arresto di Stefano Binda, presunto assassino, e sulle possibili nuove prove che gli inquirenti stanno cercando di adottare per continuare le indagini, oggi verrà letto qualche scritto della stessa ragazza di Varese raccolto nel suo diario. Presunti nuovi indizi vengono tirati fuori di continuo in questi giorni, ma alla prova dei fatti va compreso cosa può rivelarsi utile al fine delle indagini e cosa invece va relegato come grande bolla mediatica su un caso che, tra i primi in Italia, ha sollevato numerose polemiche per depistaggi e mirabolanti ricostruzioni da parte dei media. Tra poco a Pomeriggio 5 dunque tutte le ultime novità con gli interrogatori di Stefano e le possibili ricerche di altre prove e indizi.



Tra rivelazioni e finti scoop continua il caso purtroppo anche mediatico di Lidia Macchi, improvvisamente riaperto dopo l’arresto di Stefano Binda: l’accusato dell’omicidio della ragazza, è ora sotto interrogatorio dalla procura di Varese, ma come abbiamo riportato qui sotto al momento non ha rilasciato dichiarazioni significative. Intanto, con tutto il caos mediatico che si è sollevato dopo le recenti novità, parla la famiglia Macchi tramite l’avvocato Daniele Pizzi che prova ad interpretare il messaggio della mamma di Lidia, Paola Bettoni: «Chi sa, si faccia avanti, bisogna aiutare gli inquirenti a trovare la verità di questo caso». Da quell’orrore sono passati 29 anni e certamente avere altri falsi indizi o piste dimostrate poi fasulle non aiuterebbero una famiglia e una comunità giù profondamente segnata da questo triste fatto. La memoria di Lidia si gioca anche sulla verità che potrebbe venire fuori e giustamente la famiglia chiede massima trasparenza e disponibilità alla collaborazione.



Nelle ultime ore spuntano le prime dichiarazioni di Stefano Binda, in carcere per accusa d’omicidio di Lidia Macchi, il caso riaperto dopo 30 anni che tratta della violenta morte della ragazza in provincia di Varese. I colleghi del Giorno pubblicano poco fa la prima “sfida” di Binda negli interrogatori davanti ai magistrati che stanno cercando di capire se effettivamente il killer di Lidia è l’uomo di 48anni, ex compagno di scuola della ragazza all’epoca dei fatti. “Io so che non ho fatto nulla, ho fiducia che si risolva, ho fiducia nella giustizia”, le parole riportate dia giornalisti del Giorno. Viene descritto tranquillo Binda al punto di chiedere anche se in carcere ci fosse una biblioteca e nello stesso tempo ha acconsentito senza riluttanza a rilasciare il proprio dna salivare agli inquirenti. Questo servirà di fatto per capire, una seconda volta, se è effettivamente il suo dna ad essere presente sulla busta della lettera per il quale Binda è accusato di essere l’assassino. Per il resto Stefano ha deciso di non rispondere, avvalendosi legamenti della facoltà di farlo e dunque si è concluso anche l’ennesimo interrogatorio del gip Anna Giorgetti nel carcere varesino di Miogni.



Il caso di Lidia Macchi è rispuntato dopo 30 anni e ora domina le cronache di tutti media dopo l’arresto del presunto assassino, Stefano Binda che in queste ore è sottoposto a vari interrogatori della Procura di Varese che fin dal 1987. Nelle ultime ore si è allargata l’ipotesi per cui potrebbe esserci un complice in questo omicidio, oltre che gli indizi contro Stefano non sembrano al momento inequivocabili. L’uomo arrestato al momento è responsabile di aver scritto la lettera ma proprio in quello scritto si situa un mistero legato al francobollo: di certo, con il test del dna si viene a sapere che Binda ha scritto “In morte di un’amica” ma l’affrancamento della busta con il francobollo è stato compiuto da un’altra persona di cui ancora si cercano le tracce. Se Stefano è davvero l’assassino, l’ipotesi della procura è che allora ci sarebbe un complice che, se non proprio nell’atto materiale del delitto, quantomeno avrebbe saputo dell’omicidio e in quest’anni non avrebbe detto nulla. Da qui a dire che la realtà delle cose è quella ovviamente non si può dire, neanche la Procura azzarda e prova ad andare avanti nelle indagini per scoprire al più presto la verità dei fatti.

Si indaga ancora sul caso di Lidia Macchi e le ipotesi che Stefano Binda, il presunto assassino, non fosse solo a compiere il delitto si fanno sempre più forti. “Forse una donna”, ci dice un servizio di Studio Aperto di qualche ora fa. Le indagini lasciano aperti ancora troppi interrogativi, a partire dalla lettera scritta da Stefano Binda nel giorno successivo a quel terribile giorno. Era il 9 gennaio 1985 quando i genitori di Lidia Macchi, al funerale della figlia, ricevettero quel foglio che contiene una macabra poesia. “La morte grida e grida”. Inizia così quella lettera, piena di parole che non si possono dimenticare. Gli ultimi accertamenti hanno appurato che le tracce di DNA presenti sul foglio non sono di Binda. Ora spunta una seconda missiva, scritta da una madre addolorata, recapitata a casa Macchi appena un mese dopo l’omicidio. La donna afferma di essere guidata dallo spirito della vittima e scrive “chi mi ha ucciso è uno di quelli che mi hanno ritrovata”, così detterebbe Lidia a chi scrive. Furono tre amici a scoprire il corpo della ragazza, appena ventenne, ma potrebbe essere un tentativo di depistare le indagini. All’epoca dei fatti quelle lettere non vennero mai prese in considerazione e proprio per questo venne allontanato il pubblico ministero preposto alle indagini. Il GP di Varese, dieci anni dopo il tremendo delitto, mandò al macero i vetrini con il DNA rilevato sul corpo della vittima, finendo fra quei punti oscuri del caso che oggi si cerca di chiarire. Come le testimonianze false degli amici che allora protessero Stefano Binda e che non smentirono il suo falso alibi. Infatti il ragazzo riferì agli inquirenti di essere stato a fare una vacanza in montagna nei giorni in cui avvenne l’omicidio. Solo ora qualcuno ha trovato il coraggio di smentire le sue parole e ha ricordato come andarono realmente i fatti. Intanto Binda, in cella dal 15 gennaio, continua ad affermare di essere tranquillo, come ha riferito al suo avvocato difensore, e ripete che non c’entra nulla. Diversa invece la posizione degli investigatori che soprattutto dopo la perizia calligrafica della famosa lettera lo vedono come colpevole.

La certezza viene data inoltre dai dettagli presenti fra quelle righe, come ha evidenziato un servizio recente di Studio Aperto che trovate QUI. L’unica svolta potrebbe essere data dalla riesumazione del corpo di Lidia, come ha chiesto il legale della famiglia Macchi pochi giorni fa. Tuttavia, se da un lato gli investigatori sono sicuri della colpevolezza di Binda, non possono ancora escludere che vi siano stati dei complici. Poche ore fa, come ci spiega un servizio in diretta del giornalista Davide Loreti, si è concluso uno degli interrogatori di Binda ma ancora non si conoscono i contenuti. E’ possibile che il presunto assassino di Lidia si sia avvalso della facoltà di non rispondere alle domande, come farebbe pensare il particolare che quest’ultimo interrogatorio sia durato solo un’ora. Ora il GP deve stabilire se confermare la custodia cautelare o agire diversamente.