Che dire. Pietro Maso, il carnefice dei suoi genitori, il nome che per decenni abbiamo accostato al male per eccellenza, scrive a papa Francesco, e il papa lo chiama al telefono. Che meraviglia se la misericordia è misericordiosa, potremmo parafrasare Agostino. Che un uomo, che ha ripetuto dall’inizio del suo mandato che il nome di Dio è misericordia, la offra anche ai peggiori della terra, la doni ai criminali, agli assassini. Ci fa strano, non riusciamo a capire, è al di là della comune portata. Come quando abbiamo sentito il papa chiedere di pregare per i terroristi massacratori di cristiani, perché si convertano. Ci suona utopico, perfino ingenuo, questo invito, se non folle. E’ lo scandalo della fede, lo scandalo di un Dio fatto uomo che sulla croce, martirizzato, chiede di perdonare ai suoi persecutori. E quanti martiri in suo nome hanno pregato come Lui, da Santo Stefano giovinetto ai nostri giorni. Che grande il papa, che testimonianza di fede sincera e vera, la sua.
Maso sostiene, in un’intervista, che si è accostato in 22 anni di carcere alla fede, che ha cambiato vita, che chiede scusa e vuole andare in Spagna con la sua donna ad aprire una comunità di recupero. Tutto bello, apparentemente, muove perfino un brivido di commozione; e forse siamo cinici e poco sensibili, se ci resta un senso di amaro in bocca, un sospetto recondito.
Innanzitutto, l’intervista, al settimanale Chi. Bravissimi loro per lo scoop, ma per comunicare un conversione, forse c’erano testate più in sintonia, diciamo, o bastava una ristretta cerchia di amici, a cui comunicare la bella notizia. Possibile che chi ha la grazia di sentire in viva voce il papa abbia subito l’irrefrenabile brama di emettere comunicati stampa? I padri spirituali non sanno consigliare di meglio? Poi la foto di copertina, una foto modello Corona d’antan, un incrocio tra un cantante neomelodico e un divo da fotoromanzi. Camicia in jeans accuratamente aperta davanti, che mostri il catenone luccicante, polsini arrotolati, abbronzatura perfetta, braccialetti il giusto. Apri il giornale, e peggio ti senti. Torso nudo, tatuaggi, sguardo profondo; segue estasi con occhi chiusi più da post nottata di follie che da visione.
Perché? Era necessario? Che voleva di più, di una telefonata del papa? E’ così disdicevole supporre che questo uomo che s’atteggia ad adolescente perenne cerchi pubblicità? Sappiamo che certe interviste si vendono. Si può capire, il carcere non aiuta mai a creare le condizioni di una vita degna, ad alzare la testa ed essere accolto fuori come un uomo cambiato, se non redento. C’è pur bisogno di mangiare. Ma c’è la possibilità di essere discreti, umili, e certe fotografie manifestano tutt’altro. Poi, sarà stato convincente col papa, ma “scusarsi” per quello che aveva fatto 25 anni fa, e pregare per la pace, così, genericamente, suona un po’ fiacco. Come la ricerca dei motivi che l’hanno portato a quell’atto orribile: “non ho ucciso per soldi, ma per un disagio…”.
Che significa? Di nuovo dobbiamo sentire che i criminali sono tali per cause esterne, sociali, ambientali, personali? Non c’è forse il peccato, prima di tutto, e l’adesione al male, nella libertà? Se non si è giudicati incapaci di intendere e di volere, beninteso, ma non è il suo caso. Si sente il dolore straziante, l’espiazione quotidiana, per un delitto diabolico? Non si sente. Infine, la separazione della moglie, e spiace, comunque, se la povera donna l’ha aspettato così a lungo. Spero che i suoi padri spirituali gli abbiano ricordato che il matrimonio è un sacramento. E la volontà lodevolissima di aprire una comunità di recupero, “perché solo chi è straniero capisce gli stranieri, solo chi è in carcere capisce chi ci è stato”. Capirà anche che chi ha bisogno d’aiuto, e vive nel buio, chiede innanzitutto silenzio, riserbo, pazienza assidua e mite. Noni articoli con servizi fotografici sulle riviste.
La sala stampa vaticana non conferma la telefonata. Sarebbe bello sapere se c’è stata.