Il motivo per cui Stefano Binda è stato arrestato e accusato del delitto di Lidia Macchi come tutti sanno riguarda quella lettera spedita il giorno dei funerali di Lidia 29 anni fa intitolata “In morte di un’amica” in cui si è sempre pensato, visti i dettagli inseriti, che fosse prodotta da chi sapeva o direttamente dall’assassino. Dopo le scoperte di Quarto grado e la testimonianza decisiva di Patrizia Bianchi, è stata riconosciuta la calligrafia e dopo una perizia di mesi si è arrivati alla comparazione positiva con quella di Binda che perciò è stato arrestato. Proviamo a vedere nel dettaglio questa perizia, che fino ad ora rimane l’unica prova a carico del 48enne ex compagno di liceo di Lidia. La perizia grafologica ha evidenziato concrete analogia tra la scritta dell’arrestato e la lettera anonima: la novità rivelata dalla stampa è che Binda nega di aver scritto quella lettera, oltre che aver ucciso la stessa ragazza, ma restano profonde analogie. Secondo l’analisi della psicoterapeuta incaricata dall’accusa, la lettere conteneva numerosi rimandi all’assassinio, compreso lo stupro che in data 10 gennaio – quando venne spedita la lettera ai Macchi – era ancor ignoto agli stessi genitori. In seguito viene fatta una seconda perizia, merceologica, che ha trovato identità tra i fogli di un quadernetto ad anelli sequestrato nell’abitazione di Binda e il foglio di carta riciclata del testo incriminato. Resta l’unica vera traccia, può bastare per incriminare un uomo per omicidio?
Altre novità spuntano sul delitto di Lidia Macchi che, dopo l’arresto del presunto assassino Stefano Binda, ancora attendono le prove decisive dopo quella della perizia calligrafica che ha portato in carcere l’ex compagno di scuola della ragazza uccisa 29 anni fa nei boschi del Varesotto. Ancora mancano infatti, come spieghiamo qui sotto, le vere prove decisive che incastrerebbero – o scagionerebbero – l’accusato Binda. Proprio per questo motivo la Procura di Milano sarebbe pronta a disporre la riesumazione della salma di Lidia per poter cercare eventuale altre tracce di dna da comparare con il campione preso in care a Varese a Binda: se a quel punto combaciassero l’accusa andrebbe dritta al processo, ma se non ci fossero comparazione positive a quel punto tutto l’impianto accusatorio subirebbe (l’ennesima) battuta d’arresto.
Per poter dire chiuso il caso di omicidio di Lidia Macchi, la giovane ragazza uccisa 29 anni fa nei boschi di Varese, ci vorrà ancora molto tempo. Dopo l’arresto del presunto assassino Stefano Binda, parlano ai colleghi di Varese News alcuni avvocati che gravitano nell’orbita della Procura varesina che raccontano, volendo rimanere anonimi, come nel caso complesso attorno a questo lunghissimo “cold case” ancora non ci siano le vere prove decisive. “Rimangono certamente molti punti da chiarire ma l’opinione è che la colpevolezza di Stefano Binda sia una splendida pista da seguire, molto suggestiva ma che ci vogliano altre prove per arrivare ad una condanna in corte d’Assise”, quanto riportato dalle voci in procura raccolte da Varese News. Rimane l’opinione che è debole ancora l’impianto accusatorio, con la mancanza di una prova regina come potrebbe essere quella del dna di una possibile e forse prossima riesumazione del corpo di Lidia. Purtroppo, il caso, non è ancora chiuso. Per provare a ripercorrere le ultime giornate di Stefano Binda con le parole del suo avvocato Sergio Martelli, cliccate qui sotto per un video servizio raccolto con tutte le tappe della storia del presunto assassino.