Siamo arrivati ad un inch dal record per un singolo snowstorm. Un inch, esattamente cm. 2,54. New York sommersa da quasi un metro di neve, New York senza un’auto sulla strada, la subway ferma, tutto immobile…. Il grande vulcano che è questa città si lascia abbracciare e cullare silenziosamente. All’improvviso nessuno ha più fretta. Ci si inchina a sua maestà la neve, la prima di questo inverno. Ma dov’eri stata? 



E’ stato un inverno strano, anzi, assente. Global warming o quel che è, ma non ha fatto freddo per nulla. L’inverno qua di solito è bello intenso. Magari arriva un po’ avanti nella stagione, ma svegliarsi la mattina a gennaio e febbraio con un bel -15 è normale, così come lo sono tra cinque e dieci nevicate di intensità varia. Non quest’anno. Fino a ieri. Ebbene sì, ho passato la giornata a occhi sgranati tra la finestra, la strada, la macchina fotografica, l’iPhone e il computer. Come quando ero bambino; le uniche differenze stanno nella macchina fotografica (che non avevo), nell’iPhone (che avrei odiato anche da bambino) e nel computer (che non esisteva). 



Ma la neve è sempre lei! Ma quanto è bella…

Proprio l’altro giorno, mentre facevo le mie solite tre/quattro cose in contemporanea (multitasking …figlio nobile dell’attention deficit disorder…) sento dalla TV uno stupidissimo personaggio di uno stupidissimo film dire alla sua ragazza “You are beautiful! Like a snowday…” — Sei bellissima! Come un giorno di neve…

Sapete quando qualcosa vi colpisce e per un instante tutto il mondo si ferma, la mente e il cuore volano via nel tempo e nello spazio e ci sembra di sentire persino gli odori di un tempo… Mi sono girato verso la televisione, verso quello stupidissimo personaggio di quello stupidissimo film… Sei bella come un giorno di neve… La neve e un viso di donna, i due riflessi di bellezza che mi hanno sempre dato lo struggimento più profondo.



Ma la neve l’altro giorno non c’era e ben presto le altre tre/quattro cose mi hanno riportato su questa terra. Non così ieri. Ieri, come tanti, tanti anni fa, l’ho aspettata, l’ho vista arrivare, e a lei mi sono inchinato. E mi è venuto in mente quello che sempre mi viene in mente ogni volta che nevica. Sono cose che ho già scritto in un libro. Perdonatemi se mi cito (se per grazia di Dio capita di dire una cosa vera, buona e giusta si può anche essere un pochino auto-referenziali). Ero bambino, a Pesaro, e quando nevicava chiedevo alla mamma di poter correre di sotto, al Piazzale Carducci, completamente vuoto.

Mi arrestavo alla linea di confine tra la strada ed il piazzale, e mi sentivo scoppiare il cuore. Nel silenzio incerto della prima sera guardavo la cosa più bella del mondo. Senza sapere cosa fare. Senza sapere cosa farne. Perché la neve …come posso dire… “era”, era e basta. Non era “per far qualcosa”. Era. Ed era bellissima. Mi prendeva uno struggimento di quelli che ti fanno male fisico dal bene che ti fanno al cuore. Avrei voluto prenderla tutta, abbracciarla tutta, buttarmici a capofitto in quelle due dita di splendore bianco… E invece me ne restavo li, al limitare di quella cosa affascinante e misteriosa, senza il coraggio di fare un passo avanti. Detto con parole adulte, ero in contemplazione. Detto sempre con parole adulte, capivo che ci sono delle cose — le più grandi — che tu non puoi possedere, o meglio, che devi imparare a possedere senza possederle. (*)

 

Le cose più grandi. Le cose più grandi e misteriose come la neve, o come la morte, quelle trenta vite che questa tempesta ha reclamato. In questo scintillio di bellezza tante persone oggi piangono perché è stato loro tolto quel che possedevano di più caro.

(*) Da “Musica, Parole e Storie”, Società Editrice Fiorentina