Dalla deportazione alla prigionia fino alla liberazione. Sono densi i racconti dei sopravvissuti ad Auschwitz. In occasione della Giornata della Memoria, che si celebra ogni anno il 27 gennaio, alcuni ex deportati scelgono di tornare nei luoghi in cui sono stati rinchiusi e dove sono scampati alla morte. Partono sul Treno della Memoria per accompagnare i ragazzi delle scuole in visita al campo di sterminio e raccontare l’orrore che hanno vissuto affinché non si ripeta più. Nel 2007 sul treno partito da Firenze e diretto in Polonia c’erano anche le sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate ad Auschwitz quando avevano solo 4 e 6 anni, e Marcello Martini staffetta partigiana della resistenza toscana, rinchiuso a Mauthausen a 14 anni. Le sorelline si salvarono perché una SS si intenerì: “Ci disse di non muoverci quando eravamo in fila con gli altri bambini perché avrebbero chiesto di fare un passo avanti a chi sentiva la mancanza della mamma”, spiegano. Ma chi lo faceva non era portato dalla propria madre, veniva ucciso. È così che morì il loro cuginetto. “E poi abbiamo pensato che la mamma fosse morta ma non abbiamo pianto. Lo facciamo adesso”, dicono commosse. La storia di Andra e Tatiana ha però un lieto fine perché dopo un anno dalla liberazione le sorelle ritrovarono entrambi i genitori. Lieto fine anche per il giovane Marcello, finito nel lager come prigioniero politico ma sopravvissuto e liberato. Tutti concordi sul fatto che il Treno della Memoria sia un’esperienza utile, da far vivere anche a quelli che negano l’Olocausto, precisano Andra e Tatiana: “Portateli ad Auschwitz con i sopravvissuti invece di chiuderli dietro le sbarre”. 



Impressiona toccare con mano Auschwitz. I ragazzi delle scuole superiori, partiti da Firenze con il Treno della Memoria 2017 in occasione della Giornata della Memoria, sono emozionati dalla visita al campo di concentramento. Volti attenti, increduli. Freddo e neve non scoraggiano. I ragazzi camminano, nell’immensità di Birkenau, tra le macerie di quelle che erano le baracche dei deportati. Entrano nelle poche costruzioni ancora in piedi. Con tristezza sfilano davanti alle teche del museo di Auschwitz. Ascoltano attenti la guida che spiega. E imparano quello che sui libri non è raccontato: particolari della vita quotidiana, delle torture, degli stenti. “Non sapevo che nel museo ci fossero così tanti oggetti – commenta un ragazzo – . Ho cercato di immaginare come potesse essere la vita in quel posto. Mi ha colpito nel profondo”. All’amico Giorgio ha impressionato molto il racconto delle torture: “Sui libri non c’è scritto delle prigioni punitive dove gli ebrei dovevano stare in piedi tutta la notte, in quattro in uno spazio di 90 cm per 90. O che molti erano fucilati al muro della morte, nudi per essere più umiliati”. “Si è vero – aggiunge una compagna – e in un giorno i nazisti potevano arrivare a uccidere fino a 700-800 persone”. “È stata abbastanza dura perché vedere di persona come funzionavano i campi di concentramento – sottolinea un altro studente -: colpisce di più che leggerlo sui libri”. E c’è chi, pur convinto che “le idee razziste non possano portare ad un altro Olocausto perché la gente è più informata”, consiglia agli amici di visitare i lager per sapere e capire di più. 



Non è la stessa cosa che leggerlo sui libri di storia. Andarci di persona, ad Auschwitz, fa capire davvero la tragedia dell’Olocausto. E fa piangere. Sono passati ormai nove anni da quando, in occasione della Giornata della Memoria, ho preso nel 2007 il Treno della Memoria diretto ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau ma il ricordo è ancora vivo. Soprattutto quello delle lacrime durante la visita al museo all’interno del campo di Auschwitz: davanti a cumuli di capelli, vestiti, scarpe, occhiali, scodelle, valigie ho lasciato alla commozione lo spazio che le spettava. Perché vedere dal vivo quelle montagne di oggetti, ascoltando la guida che fa strada e spiega, impressiona davvero. Così come ti tocca più nel profondo, piuttosto che sfogliare un volume con immagini e ricostruzioni, guardare le fotografie della prigionia, esposte lì dove è avvenuta: le foto sono state scattate da un nazista, nonostante i divieti, e ritrovate da una sopravvissuta che così seppe che i suoi cari erano morti. Il campo di concentramento di Auschwitz mi ha scosso di più di quello di Birkenau. Gli edifici sono intatti e dopo essere passati sotto la scritta d’ingresso “Arbeit macht frei” – “Il lavoro rende liberi” si entra in un villaggio in cui tutto è rimasto come allora ed emerge un contrasto stridente: camminando pensi come possa essere accaduto che quel posto all’apparenza tranquillo sia stato un luogo di sterminio. Birkenau invece, forse complice la neve che ricopriva tutto, non mi ha provocato le stesse sensazioni di morte e distruzione: il campo tra l’altro è in gran parte andato distrutto e sono pochi gli edifici visitabili. Colpiti dall’esperienza anche i ragazzi delle scuole superiori saliti su quel Treno della Memoria partito da Firenze, un viaggio organizzato dalla Regione Toscana per ricordare il 27 gennaio 1945 quando il campo di Auschwitz fu liberato. 



(Stefania La Malfa)