Caro direttore,
con riferimento al dibattito aperto dall’articolo di don Julián Carrón sul Corriere della Sera del 24 gennaio u.s. e nel quale sono intervenuti sul Sussidiario Lorenza Violini, Eugenio Mazzarella, Agostino Giovagnoli e Luciano Violante, chiediamo ospitalità al suo giornale per fissare alcune brevi osservazioni.



1. Come esplicitato dai suoi stessi sostenitori, il riconoscimento giuridico delle unioni tra persone del medesimo sesso costituisce uno strumento per l’approvazione sociale delle relazioni omosessuali. L’accesso a un istituto millenario, prestigioso e simbolico come il matrimonio consente, infatti, di rendere accettabili relazioni che, di contro, sono state per lungo tempo tradizionalmente rifiutate. Per tale ragione, l’oggetto proprio dell’attuale dibattito è se, come e in che misura le relazioni omosessuali debbano essere riconosciute dalla società e, quindi, dal diritto. Nonostante la ridottissima rilevanza quantitativa, la questione è divenuta prioritaria nella discussione pubblica dell’ultimo ventennio in virtù di una massiccia azione mediatica e politica posta in essere da quello che è stato chiamato un “secolarismo militante”, radicato soprattutto nell’individualismo libertario di tradizione anglosassone.



2. In questa prospettiva, talune affermazioni da più parti ripetute possono dare adito a perplessità, che ci permettiamo di esplicitare. Quando è in discussione un progetto di legge, il problema non sembra potersi ridurre, anzitutto, al «desiderio profondo» e alla «insoddisfazione acuta» (Giovagnoli) che muove la proposta. Poiché il diritto dà forma a una scelta della società, oggetto della questione è, piuttosto, il criterio che fonda tale decisione: è giusto che il grido di compimento sotteso al progetto di legge determini una scelta in quel senso da parte della società?

3. Né è corretto attribuire al diritto il compito di risolvere il dramma del vivere o di colmare «l’insoddisfazione di una condizione umana, omosessuale o eterosessuale» (Mazzarella). Più modestamente, funzione dell’ordinamento giuridico è regolare il vivere comune degli uomini, secondo norme che nascono da un’opzione profonda sul criterio del bene e sono capaci di determinare una mentalità. Di qui i limiti e la grande importanza del dibattito giuridico: il diritto non è certamente uno strumento per rispondere in modo compiuto al desiderio umano; nel contempo, esprimendo un criterio del bene e dando forma a una mentalità, contribuisce a un rapporto tra gli uomini più o meno capace di favorire il compimento del desiderio umano. Nello specifico, il riconoscimento giuridico delle unioni tra persone omosessuali presuppone un giudizio di valore sulla loro sostanziale equiparazione con il matrimonio e determina conseguenze sociali e culturali che incidono in misura assai rilevante sulla possibilità di compimento del desiderio umano.



4. La frequente contrapposizione fra testimonianza personale ed impegno pubblico, rischia, infine, di ridurre il ruolo della religione a un comportamento “privato”, finendo per assecondare – involontariamente – la tradizionale impostazione laicista per cui “Dio, se c’è, non c’entra”. Per i cristiani, al contrario, la responsabilità per la convivenza sociale e il bene della nostra civiltà urgono una presa di posizione pubblica. Nelle parole della Congregazione della Dottrina della Fede in un intervento del giugno 2003, «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva».