“Fuori sacco le dirò questo: ho letto quella lettera con grande gratitudine. Ho provato un senso di liberazione, davvero”. Comincia così questa conversazione con Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera e leader di Rifondazione comunista, sulla lettera di Julián Carrón al Corsera del 24 gennaio dal titolo “Diritti tradizionali e valori fondanti”.
Un senso di liberazione? Potrebbe sembrare una battuta, Bertinotti, visto che Carrón è il leader di Cl.
Liberazione da una coazione a ripetere, dal rischio di essere trascinati in una contesa come se fossimo a 50 anni fa. Quello scontro lì lo abbiamo fatto cento volte; se uno è costretto, vabbè, lo rifà, se voglio lo rifaccio anch’io, ma ridurre la sfera legislativa, dopo tutti questi anni, a una parte, neanche quella preminente, della vicenda della società, uno si sente liberato. L’ho letta con molta gratitudine, è un passo davvero importante.
Importante perché?
Perché è spiazzante. Se stessimo parlando di cose politiche direi che Carrón ha fatto la mossa del cavallo. Una mossa che riapre i giochi, che rimette le cose in movimento.
Qual è l’impasse che andava superato?
Il contrasto tra le due tesi che Carrón riassume molto bene. Da un lato chi attribuisce al ddl Cirinnà un valore salvifico, e dall’altra chi ritiene che esso mini le basi della società. La legge com’è ovvio è centrale per il legislatore, perché è il suo mestiere; ma per il credente e in generale per l’uomo di buona volontà, al centro c’è la vita, non la legge.
Dunque la lettera contiene un passo indietro, un invito a riflettere. E il resto?
Affronta un problema di civiltà. Non solo, è un intervento molto interno allo spirito del giubileo della misericordia. Uno dei pochi che ho letto, fatti così.
Perché secondo lei?
Dice che ogni pulsione di umanità e di società nasce con l’intento di rispondere al desiderio di un compimento affettivo dell’uomo, ddl Cirinnà compreso. Il riconoscimento obiettivo dell’intento di rispondere a questo desiderio, ove traggono origine i diritti, sollecita una ricerca e un dibattito che dovrebbero totalmente escludere la demonizzazione della tesi che non si condivide, favorendo una riflessione comune invece che uno scontro di religione.
Quella di Carrón le sembra una impostazione spiritualistica?
In quel suffisso che lei applica è contenuto un giudizio negativo che non condivido. Se invece mi dice che è molto presente la dimensione spirituale, questo sì. E’ centrale.
Anche in Comunione e liberazione molto sono stati spiazzati.
Lo vedo, lo vedo.
Che spiegazione si è dato? Non potrebbe essere un’eredità dell’impostazione decennale voluta dal cardinal Ruini? Si va in piazza a sostegno dei valori non negoziabili, sapendo che c’è — c’era, oggi non più — una sponda politica.
Guardi, se io fossi parte in causa, lo direi come l’ha detto lei. Da esterno, ho l’obbligo di considerare limpide tutte le posizioni, anche quelle più lontane da me. Mettiamola così: io penso che risulti spiazzato chi, anche nel movimento di Cl, ha fatto della proiezione politico-istituzionale il suo elemento, se non centrale, certamente rilevantissimo. Questo è il punto sul quale serve una riflessione critica. Per farla breve, domandiamoci: che cosa vive e che cosa muore del movimento di Cl in questo preciso momento storico, per chi gli cammina accanto senza pregiudizio?
Lei che cosa risponde?
Ciò che vive — se posso dirlo in questi termini, sperando, come dire, di non essere offensivo — è la dimensione delle origini del movimento. Una società così sconvolta e devastata e una crisi così radicale della politica e delle istituzioni come quella che vediamo, fanno sì che a vivere sia l’elemento originario dell’esperienza di Cl, mentre ciò che muore è invece il suo fattore di proiezione attiva nella politica, tipico di un certo momento storico. Ma non è solo Cl a dover fare i conti con questo scacco.
Dunque è un problema molto ampio.
Certo. Anche le forze politiche, in modo diverso, sono alle prese con lo stesso problema. La grande crisi che attraversiamo sortisce l’effetto, per certi versi imprevisto, di mettere a valore la dimensione della testimonianza.
E’ questo il nesso col Giubileo?
Sì. Nella misericordia c’è il sé, l’io, non si bara.
Ma dove starebbe precisamente la proposta di Carrón letta nella chiave del giubileo?
Nell’essere un discorso di grande apertura che però, per come lo vedo io, non rinuncia alla propria identità, alla propria posizione o collocazione teologica, non perché queste dimensioni vadano sacrificate o perdute, ma perché ora vivono nella testimonianza. Proprio per questo mi pare una grande sfida alla post-modernità. Tornando a quello che ci interessa, è un rimettersi a camminare con le proprie gambe invece che pensar di avere nel legislatore un protettore esterno.
Lei, Bertinotti, da politico è stato un paladino dell’estensione dei diritti. Il desiderio ha sempre ragione?
No; dipende da come viene elaborato. Tra desiderio e diritto c’è sempre uno iato che va colmato da una mediazione politico-culturale. Come per peccato e reato, si tratta di due termini tra i quali c’è una differenza che non può mai essere dimenticata. In entrambi i casi interviene a illuminarci la distinzione tra Cesare e Dio. Il desiderio è il fondamento della mia relazione con l’altro e della costruzione del diritto, ma non può chiedere a quest’ultimo di essere una carta assorbente.
Cosa pensa della stepchild adoption?
Sono favorevole, perché penso che quello che si produce nella realtà vada in primo luogo capito e poi aiutato a evolvere. La legge deve favorire, invece che impedire, ciò che può germinare in amore e in relazione. Sia che si tratti di una famiglia tradizionale, sia che si tratti d una coppia omosessuale. Ci sono i due e c’è il bambino, ed è questa situazione amorevole la condizione di partenza.
Aprire alla stepchild adoption non legittimerebbe l’utero in affitto?
Ma no. Il ricorso all’utero in affitto potrebbe avvenire in presenza come in assenza di stepchild. L’utero in affitto è la soluzione sbagliata; il problema è reale, ma la soluzione è sbagliata e va corretta innanzitutto nei rapporti umani, sociali.
Cosa intende dire?
Il rischio più grande è che perfino un’esperienza eccezionale come quella della maternità possa essere ridotta a merce. E guardi che le cose migliori contro l’utero in affitto le ho lette nelle culture femministe, importantissime nel tenerci lontani da una tentazione meramente proibizionistica, che affida solo alla legge ciò che dev’essere costruito nella società e nella civiltà.
La lettera di Carrón contiene un’ipotesi precisa di senso: “Solo Cristo come avvenimento presente nella vita delle persone è in grado di liberare l’uomo dalla sua riduzione e di fargli desiderare e sperimentare quella pienezza per cui è fatto”. Lei che posizione prende di fronte a questa proposta?
Come non credente, sono interessato non solo culturalmente, ma umanamente e socialmente a questa testimonianza, anche se non è la mia. Però la considero un arricchimento per tutti gli uomini.
Lei che cosa crede?
Credo ancora che il processo di liberazione dell’umanità, in primo luogo da quello che Giovanni XXIII chiamava il suo peccato più grande, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, possa avvenire nella storia. La differenza tra credente e non credente è ancora tutta qui.
(Federico Ferraù)