La piazza è un luogo e un orario preciso. Ieri a Roma ce n’era una che straripava di un numero oscillante fra i due milioni e le trecentomila persone. Chiunque può andare su Google e leggere l’articolo di un grande quotidiano che fa il conto, con le foto, misurando i metri quadri, e dice che ingigantire i numeri non è una caratteristica solo dei cattolici ma che accadde anche ai tifosi della Roma (2001, scudetto con annunciato spogliarello della Ferilli), a Cofferati (2002), e ai Rolling Stones, nel giugno 2014. Quest’ultimo è un dato interessante perché quella volta si pagava: il prato era strapieno e i biglietti venduti 71mila. Dei miei amici romani, di quelli che mi hanno intasato whatsapp, Facebook e mail, secondo me ce ne sono andati pochi. Mi riferisco a quelli che non solo dicevano di andarci ma che dicevano agli altri di andarci: ma, si sa, i romani sono così. Gli Angelus di Piazza san Pietro sono gremiti di turisti, non di romani. Comunque ieri, a Roma, l’inverno era tiepido (14° C), non pioveva e non tirava vento e le foto stanno lì sugli schermi degli smartphone: regalatevi un giretto con Google immagini e fatevi i paragoni.



Però, io, i miei amici romani, li capisco. Il fine settimana è solo di due giorni e una madre di famiglia lo sa quanto dura poco. Mercato il sabato per il rifornimento di frutta e verdura per quasi tutta la settimana, marito in casa (spesone pesante perché ti aiuta), bottiglie di acqua minerale come se piovesse, scampoli di saldi con le figlie adolescenti (è da lunedì che vogliono andare a fare shopping), partite di calcio con mini trasferta per i maschi piccoli di casa, parrucchiere (la ricrescita delle mezzepunte avanza) e, se hai bloccato in tempo i nonni e li hai convinti ad aiutarti, passeggiatina e cinemino col marito. Io comunque per i due milioni in piazza (tweet di Maurizio Gasparri: “2 milioni di cuori che battono per il diritto di tutti i bambini ad avere un padre ed una madre! #FamilyDay”, come non credergli?) sono contento e dico loro: vi voglio bene. A tutti. 



E aggiungo: finalmente. Finalmente in piazza. Finalmente adesso leggeremo racconti di vita vera di questa giornata, finalmente ascolteremo testimonianze vere: non ne potevo più di link e di princìpi. Io non amo i difensori di princìpi, amo i difensori delle persone. I principi entrano in un post, le persone entrano nel cuore. I princìpi occupano la bacheca di Facebook, le persone occupano la piazza o il tavolino di un bar (che io preferisco alla piazza, e su questo quotidiano l’ho già scritto settimana scorsa pensando alle piazze LGTB, ma, per carità, viva la libertà, diciamo che ognuno per stare assieme sceglie il modo che vuole).



Però i principi li sistemi con un copia e incolla, invii e sei a posto, sistemato; lo dice anche la cronologia di whatsapp che sei a posto. La doppia spunta blu dice che hai comunicato. Sistemata la mailing list, il week end — aggiungo io pensando agli amici miei romani — ce l’hai libero.

Finalmente, dico, adesso un po’ di realtà. Perché le persone non si fanno “sistemare”. Vogliono parlare e non puoi fare copia e incolla dei tuoi e loro pensieri: dal cervello alla bocca ci devi mettere la faccia. Non conta quello che sai ma quello che sei. Sei quello che predichi? Te lo dirà la faccia di chi hai davanti. Con la vita di un altro a tu per tu, nessuna spunta blu. Solo facce. Benvenuta piazza. Benvenuta vita. Io, amici della piazza, vi leggerò con il mio amico dal tavolino di un bar, quello del caffè della settimana scorsa. E poi andrò a fare una passeggiata. Perché lunedì i problemi saranno ancora tutti sul tappeto. Sempre che abbiamo l’umanità e il cuore di porli onestamente a noi stessi: cosa faccio, io? qual è il mio compito, di me come genitore, insegnante, prete, libero professionista, padre e madre? Non il mio in quanto manifestante ma il mio di persona normale di domani e dopo? Rimesso nel cassetto il complotto massonico delle lobby atlantiche antifamiglia e progender, il Family day diventa il Family faces. Auguri a tutti noi.

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