E’ un 2016 cominciato all’insegna degli attentati. Ieri in Libia, a Zliten, un attacco suicida rivendicato dallo stato islamico ha ucciso 74 persone ferendone più di un centinaio. A Parigi, nell’anniversario della strage di Charlie Hebdo, un ventenne marocchino, armato di coltello e finto esplosivo, è stato ucciso dalle forze di polizia per essere andato contro un agente al grido di “Allah u Akbar”. Aveva con sé una rivendicazione di appartenenza all’Isis e intendeva “vendicare i morti in Siria”. A Ponte San Giovanni (Perugia) un ordigno rudimentale, poi neutralizzato dai carabinieri, è stato ritrovato davanti a una filiale di Banca Etruria.  Intanto, gli esperti e si interrogano sul test nucleare ordinato dal dittatore nordcoreano Kim Jong-un. “Sono vicende diversissime, fatti che non si possono collegare se non, questo sì, per il ricorso alla violenza”. E’ il commento del generale Mario Mori, già capo del Sisde ed esperto di terrorismo.



Generale Mori, che impressione le fa quanto sta accadendo?
Sono vicende diversissime, eppure legate dal ricorso alla violenza. La volontà di arrecare il male si sta sta sempre più radicando nelle società mondiali come il metodo ritenuto decisivo per affrontare i problemi. Siamo di fronte ad una serie di attacchi che danno l’idea di una situazione molto pericolosa.



Cominciamo dalla Nord Corea. Kim Jong-un potrebbe aver testato una bomba H.
Viene da chiedersi come mai e perché quel dittatore sia ancora in piedi. Non sarà che questo regime e questo paese, confinato nell’isolamento, dal punto di vista geostrategico fanno comodo a qualcuno? La Nord Corea è un fattore di crisi: crea forme di equilibrio e insieme di contrasto che da un lato la conservano e dall’altro rappresentano una minaccia.

Perché si decide di far paura con la violenza?
La storia dice che il calcolo politico dietro la violenza c’è sempre stato. A volte le esplosioni di violenza hanno una funzione flemmatizzante, tendono cioè a far sì che la situazioni non peggiori ulteriormente. Altre volte invece hanno una funzione di innesco.



Ma quanto è pericolosa la Corea del Nord?
La presunta bomba H ha solo una funzione di propaganda. Il regime si sogna bene di usarla contro un avversario perché sa che innescherebbe una reazione a catena nella quale avrebbe solo da perdere. E’ la stessa funzione di ammonimento che hanno le bombe nucleari iraniana, indiana e pakistana. Ma anche quella di Israele: insomma, un “sappiate che ce l’abbiamo”.

Residui di guerra fredda?
No. Altri tipi di confronti strategici regionali che sono sempre stati presenti nel mondo, ma che prima si confrontavano con altre logiche.

Secondo lei quale “bomba” è più pericolosa?
L’attentato suicida in Libia, mettendoci dentro anche il caos che regna nel paese. La Libia secondo me è il fronte più pericoloso, soprattutto dal nostro punto di vista nazionale ma non solo. E credo che il tentativo dell’inviato Onu Martin Kobler, nonostante il primo apparente risultato, con queste premesse sia destinato a fallire. 

Perché non crede nel nuovo governo libico?

Kobler deve mettere d’accordo non Tripoli e Tobruk, ma chi sta dietro a quei governi. Per non far nomi, da una parte Turchia e Qatar, dall’altra Emirati ed Egitto. Diversamente non se ne viene a capo. 

Siamo arrivati allo scontro diretto tra le due maggiori potenze del Golfo, l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita. L’Isis un anno fa sembrava il fattore determinante, ora sembra una variabile dipendente.
Lo è. Il califfato è uno strumento del gioco delle potenze regionali e mondiali che hanno interessi nell’area. Ma starebbe in piedi l’Isis, se non ci fosse un motivo per cui è conveniente non affondarlo del tutto? Saranno 40-50mila combattenti, un accordo internazionale tra le potenze della regione lo toglierebbe di mezzo al massimo in un paio di mesi. Ma questo non conviene a molti, forse a nessuno. 

Da dove viene oggi la minaccia più grave alla stabilità internazionale? Più dal Medio oriente in fiamme o dall’Asia-Pacifico, dove i rapporti sono tesissimi?
A mio modo di vedere il nodo più delicato e pericoloso è quello mediorientale, perché si è arrivato al confronto diretto tra due potenze a ispirazione religiosa e alle differenze dottrinali si aggiungono gli interessi economici. E nessuno sembra sapere più di chi si può fidare. 

Fino all’altro giorno c’era un guardiano del mondo, ma quando esplodono le bombe viene da pensare che la politica e l’intelligence abbiano fatto un passo indietro.
L’accordo di Vienna sul nucleare iraniano ha determinato un innesco tale di vicende da cambiare lo scenario sotto i nostri occhi. E’ ozioso discutere se Obama, e Bush prima di lui, si siano resi conto che stavano perdendo il controllo della politica mondiale. Resta il fatto che la loro politica ha fatto credere a molti competitori, prima sotto il giogo di quella politica, che si poteva uscire dal cerchio e dar vita a esperienze e costruzioni che poco prima non era possibile neppure ipotizzare.

Cosa interessa davvero all’America?
Il suo vero obiettivo è il contenimento dell’espansione cinese. La mia impressione è che il Medio oriente non interessi più di tanto agli Stati Uniti e che essi lo usino perfino come diversivo per altre potenze, non solo regionali ma anche mondiali, come la Russia. 

Una strategia che potrebbe condizionare anche un eventuale presidente repubblicano?
Sì, perché in questo caso non abbiamo a che fare con la politica italiana. 

E l’ordigno ritrovato davanti a una filiale di Banca Etruria a Perugia?
Come pericolosità è un fatto di poco conto. Ma da noi tutto diventa conflitto politico e qualsiasi cosa buona allo scopo viene usata per attaccare gli avversari. Certo è indice di un malessere sociale.

(Federico Ferraù)