“Il reato di immigrazione clandestina prevede una mera pena pecuniaria e non invece detentiva. Il suo effetto deterrente è praticamente nullo perché il migrante sa che non potrà pagare una somma di cui normalmente non dispone”. Lo evidenzia Gian Luigi Gatta, professore di diritto penale nell’Università degli Studi di Milano e autore di diverse pubblicazioni sul reato di clandestinità. Il dibattito sull’abrogazione della norma introdotta nel 2009 sta infiammando i toni politici. Il Parlamento si è già espresso a favore, ma venerdì è arrivato il no del ministro dell’Interno, Angelino Alfano.



Professore, che cosa comporta il reato di immigrazione clandestina per la giustizia italiana?

Il reato è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2009, ma è sostanzialmente simbolico. La pena è soltanto pecuniaria e la sua efficacia nel contrasto dell’immigrazione clandestina è praticamente nulla. Lo conferma il fatto — sotto gli occhi di tutti — che dal 2009 a oggi il numero degli immigrati irregolari in Italia non è diminuito, e che gli sbarchi delle carrette del mare sono sempre all’ordine del giorno. L’effetto di deterrenza è nullo perché l’immigrato non ha paura di una condanna per il reato di clandestinità. Si tratta di un reato per il quale non è previsto il carcere; è l’Europa infatti a non consentire di comminare una pena detentiva per il reato di clandestinità.



In quali sedi si sono espresse le autorità europee?

Secondo la Corte di Giustizia Ue — fondamentale la sentenza El Dridi, pronunciata con riferimento a una vicenda italiana — la direttiva europea “Rimpatri” del 2008 impone agli Stati membri di prevedere che gli irregolari siano rimpatriati e non invece incarcerati. Nel momento in cui l’Italia prevedesse una pena detentiva per l’ingresso o la permanenza irregolare dello straniero nello Stato si porrebbe in contrasto con il diritto comunitario; una simile disposizione dovrebbe essere disapplicata. E’ esattamente quanto accaduto nel recente passato con il reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento da parte del questore.



Di fatto come procede la giustizia?

Oggi in Italia i reati che riguardano l’ingresso e il soggiorno irregolare dello straniero sono puniti con la pena pecuniaria, e la ragione è che ce lo impone l’Europa. Tra i penalisti è opinione diffusa che a conti fatti il cosiddetto reato di clandestinità sia un reato simbolico, tra l’altro attribuito alla competenza del giudice di pace, che si occupa, appunto, dei reati “bagatellari”.

Perché allora tenere in vita questo reato?

A mio parere dal punto di vista dell’efficacia del sistema quello di immigrazione clandestina è un reato che non serve. Lo documenta il fatto che non ha prodotto risultati, non per colpa della magistratura ma in quanto non ha un’efficacia deterrente. Non rappresenta nella realtà, come auspicava chi lo ha introdotto, un “muro” eretto simbolicamente contro l’immigrazione clandestina. L’immigrazione è un fenomeno sociale complesso, e i migranti che compiono i viaggi della speranza, spesso fuggendo da contesti di guerra o di disperata povertà, non si fanno certo spaventare dalla minaccia di una pena pecuniaria tra 5mila e 10mila euro, che tanto non potrebbero pagare. Il reato non serve d’altra parte nemmeno a facilitare le espulsioni: l’immigrazione irregolare infatti è già di per sé un illecito amministrativo sanzionato, appunto, con l’espulsione.

A che punto è il dibattito nelle sedi istituzionali?

Nell’aprile 2014 il Parlamento aveva approvato una legge delega di depenalizzazione di una serie di reati, incluso quello di clandestinità. A novembre dell’anno appena passato il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo sulla depenalizzazione proprio in attuazione di quella delega. In quell’occasione il governo ha però tenuto fuori il reato di clandestinità dal pacchetto di reati da depenalizzare. Prima che scadano i termini ormai imminenti per poter attuare questa delega, il Governo potrebbe reintrodurre la clandestinità nel pacchetto dei reati da depenalizzare. Si tratterebbe di una scelta politicamente coraggiosa, che peraltro dovrebbe indurre a riflettere sulla necessità di strumenti effettivi e non solo simbolici per affrontare il problema dell’immigrazione irregolare. Chi oggi contrasta quella scelta omette di dire che in realtà questa norma non ha portato a nessun risultato.

 

La norma è solo inutile o anche controproducente?

Il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha opportunamente sottolineato come ci sia anche un effetto controproducente determinato dal reato di clandestinità. Gli immigrati che arrivano sul nostro suolo, in quanto autori di quel reato, hanno lo status di indagati e non di mere persone informate sui fatti. Quindi quando sono sentiti dalla polizia giudiziaria, ad esempio per identificare gli scafisti, hanno le garanzie che il nostro sistema processuale prevede per chi è inquisito, garanzie che però di fatto rappresentano in questo caso un inutile ostacolo alla già difficile attività della magistratura.

 

(Pietro Vernizzi)