Se sbagliamo noi, la paghiamo cara. Se sbagliano loro, sibilano un sorry in falsetto e morta lì. I fatti: un po’ di italiani residenti nel Regno Unito, all’atto di iscrivere con regolamentare modulo on line i loro figlioli a scuola, si sono trovati a dover barrare una delle seguenti tre caselle: italiano – italiano napoletano – italiano siciliano. A seguito di regolamentari proteste per le vie diplomatiche contro l’intento etnico-discriminatorio, il Foreign Office ha ammesso lo storico (?) errore amministrativo (?) di alcuni pochi e isolati (?) distretti scolastici, per ignoranza e non per volontà discriminatoria. Ha fatto correggere i moduli e ha detto sorry.



Diciamo la verità. Gli inglesi sono freschi di secessionismo e in questa materia fanno confusione. Loro sono sempre stati orgogliosamente isolazionisti; e dopo un po’ di esperienza comunitaria nella Ue si sono rotti e hanno fatto Brexit, secessione dall’Europa, pochi mesi fa. La Manica s’è fatta più larga, e la vista sulla realtà dei paesi oltre Manica s’è fatta più annebbiata. Del resto già per Churchill la Manica non separava la Gran Bretagna dall’Europa, ma l’Europa dalla Gran Bretagna. Non hanno visto che nemmeno la Lega la mena più tanto sulla Padania libera e contro i terroni, anzi per i loro voti Salvini canterebbe anche l’Inno di Mameli con la coccarda tricolore sulla cravatta verde.



La vista annebbiata non giustifica l’ignoranza, specie se si tratta di dirigenti scolastici. La loro distinzione tra Napoli, Palermo e resto d’Italia non sta nè in cielo né in terra. Non esiste dal punto di vista etnico e nemmeno linguistico, a meno che il dialetto conti e allora ne abbiamo centinaia e migliaia da sparargli sul modulo. L’italiano-sardo? L’italiano-veneto? vogliamo parlarne?

Non esiste neanche dal punto di vista storico. Regno di Napoli e Regno di Sicilia si unirono nel 1816 e finirono nel 1861, quando  nacque lo Stato italiano. Ma scusate, non c’erano due navi inglesi a monitorare lo sbarco dei Mille in Sicilia? E non erano stati gli inglesi a finanziare lautamente la spedizione garibaldina, vale a dire le spese di viaggio vitto alloggio e corruzione dei baroni (e forse anche di qualche garibaldino che ha soffiato la cassa al povero Ippolito Nievo), proprio per fare l’Italia? Smemorati. 



Quanto alla lingua, risulterebbe difficile equiparare quella di Dante a quella di Masaniello o di compare Turiddu.

A pensar male si fa peccato, ma… E’ recente la disposizione alle aziende inglesi di rendere noti i nominativi dei lavoratori stranieri. Un po’ come gli svizzeri ticinesi, referendariamente schierati pancia a terra sul Prima i nostri: l’insicurezza, ecco, proprio quella, chiude tutti a riccio.

Ah, la perfida Albione. Mario Appelius, nella tomba, è ancora lì a ripetere Dio stramaledica gli inglesi, come era solito scandire dai microfoni fascisti dell’Eiar durante la seconda guerra mondiale. 

Noi non aderiamo alla giaculatoria di Appelius. Primo non è carina. Secondo, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Fuori dall’Ue ma anche dentro — eccome — si tirano su muri e reticolati. Per proteggersi da marocchini, libici, senegalesi, nigeriani, siriani… e a buon conto anche italiani più o meno napoli o siculi. E tutti a dire: siamo tolleranti e multiculturali, non siamo mica razzisti, sono loro che sono terroni. 

Poi a un dirigente scolastico very English scappa un modulo che non stilerebbe più neanche un Matteo Salvini… Che Dio strabenedica gli inglesi: in fondo anche a loro capita di scordare il politically correct (oltre alla storia e alla geografia), e di mostrare, con chiamata in correo, che anche oltre Manica l’Europa è nuda. E – sorry – non è un gran bel vedere.