Ho visto Dario Fo in primavera, per un’intervista che sapevo essere ultima e preziosa. Una casa piena di quadri. Centro di Milano, e proprio all’angolo, a guardare la piazza, le fioriere con le rose che aveva voluto regalare Franca al Comune. Dario Fo me l’ha confidato proprio sulla porta, invitandomi ad andarle a vedere. “Lei andava a potarle, ci metteva il concime… io non sono capace, e fatico a scendere da solo. Ma vai a vederle, fioriscono anche d’inverno… Mi è capitato a gennaio di avvicinarmi per caso, convinto di vedere solo degli sterpi, e invece c’era una rosa carnosa, profumata, così bella! Sembrerò scemo, ma mi è sembrato un segno”.

Quanto ho amato e quanto mi ha fatto arrabbiare Dario Fo. Amato quel suo Mistero Buffo che allargava la ragione, anche sulla storia ingurgitata senza riflettere e giudicare, e quanto divertiva, quanta intelligente arguzia e quanta stima per quel medioevo che ci avevano sempre e solo detto essere buio e cupo e invece appariva giullaresco e profondo, drammatico e fantasioso. Quanta voglia di litigare, anche, con le sue intemerate da piazzista, con le sue battaglie che non potevano essere le mie, contro il livore verso la Chiesa che è casa mia, e che lui non capiva e non voleva capire nella sua eterna, universale grandezza. Contro la sua ideologia, checché dicesse che non ne era servo. Ma incontrarlo vecchio, e senza Franca – ferita insanabile al cuore che l’aveva addolcito – è stato un incontro umano bellissimo. Voleva parlare del papa, sembrava che citasse un coetaneo compagno di battaglia, e si faceva domande senza rispondere, lasciando aperte tutte le porte, guardando come perduto per spettare un’indicazione, una via. Chissà.

Che ne sarà, di me, di Franca, che non vedo più. La vita eterna per lei la vorrei eccome. 

Così si prega, così ci si apre al Mistero. Chiediamo il per sempre per le persone a cui vogliamo bene. Il buon Dio ci prende attraverso ciò che ci è più caro e non importa come, non importa quando. Che struggimento, vedere un uomo non domo, ma più docile, più umile. Si fa portare un succo di frutta, spiega che i vecchi devono bere tanto, che si sente debole. Sorride, è felice quando mi complimento per le belle fotografie con lui e Franca, insieme.

Mi metto nella sua testa, nel suo cuore. Penserei anch’io che ne sarà, di quel che abbiamo amato, lottato, sofferto, goduto, fatto. Di tutti i ricordi, dei volti amici, che ne sarà. Un uomo è grande se non fugge la vita, e soprattutto non fugge il suo significato, ad ogni sua tappa. Un uomo è grande se sa mettere in dubbio le sue certezze che paiono granitiche, e quando sa vedere il varco che spalanca un infinito possibile.  

Per lui è passato, nei suoi ultimi giorni, attraverso il volto di questo papa. Che gli era simpatico, perché è simpatico di carattere, e perché rivoluzionario, perché borderline, come lui, perché gli sembrava dar ragione a tante sue critiche. E invece, è il papa che l’ha preso per mano e si è fatto seguire. Dario Fo ora ha passato il confine. Mi auguro, prego per questo, che possa intravedere Dio, che sempre in fondo, ha cercato. Come ogni uomo.