LES CAYES (Haiti) — A dieci giorni dall’uragano, nonostante gli sforzi di tutti e le interminabili giornate di lavoro, la situazione è ancora in fase di primissima urgenza. Ci dibattiamo impotenti di fronte alla dimensione del disastro. Non ci sono più case, scuole, ponti strade, non funziona nulla, niente corrente, niente internet, niente acqua, non ci sono infrastrutture. Non c’è cibo, soprattutto.



La pioggia ha smesso di cadere, ma il terreno fradicio non assorbe più niente, la terra bagnata coperta da uno strato di acqua putrida si trasforma in fango nero cosparso di sterpaglie. Alberi enormi ingombrano le strade delle città principali o giacciono adagiati nei campi, come strappati dal suolo dalla mano di un gigante. La mareggiata eccezionale che ha accompagnato l’uragano ha spazzato la costa per ore e giorni, le spiagge bianche sono scomparse, i ristoranti lungo il mare inghiottiti dalle onde. Una barca sfondata campeggia in mezzo a una via del centro di Les Cayes, a più di 500 metri dal molo.



Arranchiamo a fatica in un paesaggio da day after, spaesati e increduli: non si riesce ad abituarsi a questa devastazione.

Oggi lo staff è al deposito in attesa dei camion del World Food Program: ci porteranno 300 tonnellate di alimenti, che distribuiremo a quasi 20mila famiglie, le più vulnerabili.  Mentre loro aspettano di scaricare I sacchi e preparare le razioni, noi andiamo a visitare le comunità dell’interno per preparare la distribuzione. Non c’è cibo per tutti, bisogna decidere chi ne ha più bisogno e bisogna essere tutti d’accordo. Estenuanti discussioni con sindaci e capi religiosi, migliaia di tessere distribuite, ma siamo pronti: 19.900 famiglie riceveranno una razione mensile di riso, fagioli e olio, e poi avremo un mese di respiro per pensare ai prossimi passi. 



Lungo la strada, case sfondate da alberi abbattuti, quasi nessun tetto al suo posto, i fiumi ancora in piena trasportano fango e detriti. A dieci giorni dall’uragano, sembra che tutta quest’acqua non debba finire mai. Eppure il sole splende alto nel cielo e la temperatura sfiora i 35 gradi. 

Ci fermiamo alla Facoltà di Agronomia, nostro partner da 18 anni nei progetti agricoli. il direttore ci aspetta, sorridente e incoraggiante, nonostante la situazione. Ci mostra i danni e una volta di più ci sentiamo annientati e impotenti di fronte al livello di distruzione. I locali dell’università si sono salvati, ma il laboratorio nuovo e non ancora inaugurato ha subito danni gravi. La fattoria sperimentale per il training pratico dei giovani agronomi è devastata, nessun albero in piedi, le colture sono spazzate via, l’allevamento di polli e coniglio completamente distrutto, la serra non saprei neppure dire dove era: è completamente cancellata. 

Non sembra nemmeno più il posto che conoscevo.

Arriviamo alla biblioteca: l’uragano ha strappato e gettato lontano le finestre e inondato d’acqua i locali. La maggior parte dei  libri sono andati perduti, ma sul balcone un gruppetto di studenti lavora con impegno: stendono al sole i libri, sfogliano a turno le pagine perché non si attacchino insieme, poi li rimettono al sole con un sasso sopra perché il vento non li porti via. Sono stanchi e accaldati, un po’ incerti nel dirci che non si sa quando i corsi riprenderanno. Ma i libri sono preziosi e non possono andare perduti. Allora, in attesa che riprendano le lezioni, loro li stendono al sole ad asciugare.

Haiti è così. La puoi scuotere dalle fondamenta con uno dei peggiori terremoti che la storia dell’uomo ricordi, la puoi inondare e spazzare con un uragano della massima violenza, ma lei, Haiti, troverà sempre un modo per rialzarsi, un punto da cui ricominciare, da cui ricostruire. Non so dove trovino questa forza, questa determinazione. Ma gli haitiani sono così. Si siedono su un ballatoio in cemento, sotto il sole impietoso dei Caraibi e sfogliano le pagine di un libro steso al sole ad asciugare, mentre attorno a loro il paesaggio devastato testimonia l’ennesima catastrofe. Sfogliano le pagine e fermamente credono che il libro asciugherà, e la vita riprenderà il suo corso. Che domani andrà meglio.