PORT-AU-PRINCE (Haiti) — Più di due settimane sono passate dall’uragano, ormai quasi tre. Il sistema umanitario di risposta all’emergenza è ormai attivo e funziona a pieno ritmo, ma a quasi tre settimane siamo ancora alle distribuzioni di cibo.

Lunghi convogli di camion scorrono sulla strada tra la capitale e il dipartimento sud, avanzando lenti sull’unica statale ridotta a uno sterrato, coperta da uno strato di fango secco e sconnesso, attraversano guadi dove un tempo c’erano ponti, attraversano mercati dove non c’è più nulla in vendita, alzano nuvole di polvere al loro passaggio e poi finalmente arrivano a destinazione. Impiegano otto, a volte nove ore per fare 200 chilometri. Arrivano ai depositi delle Ong come Avsi, incaricate della distribuzione. 



Finalmente, arrivano.

Ci sono documenti da firmare e difficili conti di sacchi, tonnellate, metri cubi, ma poi finalmente possiamo scaricare. Abbiamo reclutato le mamme dei nostri bambini del sostegno a distanza, che per una piccola quota giornaliera dividono in razioni famigliari i grossi sacchi da 50 kg del World Food Program. Siedono ciascuna su un vecchio mattone dentro a un deposito senza finestre, usano una vecchia latta per misurare le razioni, reinsacchettano rapide in mezzo alla polvere in un caldo soffocante. Noi non resistiamo più di due minuti, loro invece sorridono, grate per questo insperato lavoretto, e continuano a insacchettare.



Facciamo razioni famigliari che dovrebbero durare un mese per una famiglia di 5 persone: 50 chili di riso, 8 di fagioli, 4 litri di olio. Non riceveranno altro per un mese.

Finalmente il camion è pronto e parte verso la quarta sezione comunale di Torbeck, la più lontana e la più difficile da raggiungere. Da giorni a tutte le riunioni ripetono che qualcuno deve andare lassù. E noi finalmente partiamo.

Al centro abitato di Torbeck una folla blocca i camion, uomini e donne protestano quando capiscono che il cibo non è per loro. Lunghe ed estenuanti discussioni, momenti di tensione e a volte di rabbia. I ragazzi di Avsi cercano di spiegare che torneremo anche da loro, ma farsi ascoltare è difficile. La polizia che scorta i camion è nervosa. Le ore passano e la situazione non si sblocca. Ormai la gente affamata se n’è andata e quelli che restano sono solo i più violenti che probabilmente vogliono solo assaltare il camion e rubare il cibo per rivenderlo. Non resta che tornare indietro, abbattuti. I camion rientrano al deposito, i ragazzi di Avsi tornano a Torbeck. Incontrano la gente, discutono, spiegano, negoziano, a volte anche si arrabbiano. Non so bene cosa dicano, ma non mollano. 



Il mattino dopo ripartono all’alba e questa volta arrivano a destinazione. La quarta sezione di Torbeck, incastonata tra colline e montagne è quasi isolata tra strade che non esistono più e fiumi in piena.  

Trasportiamo razioni per 500 famiglie e ne troviamo ad attenderci più del doppio. E’ difficile spiegare perché non basta avere la casa distrutta per ricevere gli aiuti, perché vengono prima quelli che oltre alla casa distrutta hanno più di 5 bambini. Qualcuno dei nostri è preoccupato, ma non c’è tensione nell’aria. Gli animatori spiegano le priorità e poi cominciano a distribuire. Non ci sono incidenti. La gente si allontana dal camion trascinando i pesanti sacchi e poco lontano si ferma a dividere con chi non ha la tessera per ricevere. Alla fine, tutti se ne vanno con qualche cosa. Non sorridono molto, sanno che il cibo non basterà per molto. Ma almeno per adesso ce n’è un po’ per ciascuno.

La strada del rientro è lunga ed è già buio quando uno dei camion resta bloccato con la ruota a terra. Naturalmente non c’è quella di scorta ed il problema adesso è che non abbiamo altri camion per distribuire domani.

Vado a letto sconsolata pensando che non basta: non basta il tempo per fare tutto, non basta il cibo, non bastano i soldi per aggiustare il camion.

La mattina dopo trovo un messaggio inaspettato.

Un amico dall’Italia mi scrive. Si è fatto vivo il mio ex collega Giuliano, ha letto di Haiti, sa che io sono qui, chiede se siamo ancora in contatto e cosa si può fare. In pochi giorni i miei ex colleghi raccolgono soldi per Haiti. Mi scrivono per dire che li manderanno ad Avsi.

Io sono stupita. Ho lasciato il mio vecchio lavoro in casa editrice 11 anni fa. Non ho più visto Giuliano, il mio impaginatore. Sono tornata in azienda a salutare una sola volta in 11 anni. Eppure. Eppure c’è ancora gente, tanta gente, a cui continua a interessare cosa succede nella parte del mondo meno fortunata. E che recupera una conoscenza di dieci anni fa pur di mobilitarsi, pur di fare qualche cosa.

Sono quasi incredula e decisamente rincuorata.

Forse al prossimo camion ne avremo per tutti, certamente per qualcuno di più, grazie a Giuliano e a tutti quelli come lui.