La Congregazione per la dottrina della fede ha messo a punto una “Istruzione” circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione che ha una novità: la cremazione non è contraria alla fede ma non è permessa la dispersione delle ceneri “nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo” né la loro conversione “in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, come i diamanti pubblicizzati da aziende svizzere e prodotti con i resti del caro estinto”.
Perché un intervento così autorevole su una pratica così terrena e marginale come la questione del cadavere, visto che la religione parrebbe per definizione occuparsi di cose spirituali? Perché la morte di un uomo non è qualcosa di estraneo alla vita dell’uomo. Quando diciamo “vita umana” parliamo anche della fine della vita cioè della morte. Una morte umana, appunto. E non c’è vita umana senza un uomo nella sua interezza e unità di corpo e anima. Non è una semplice somma di elementi: corpo e anima, materia e spirito, è una realtà “uniduale”. Cioè se volessi colorare di giallo l’anima e di blu il corpo non verrebbe fuori un disegno a due colori ma verrebbe fuori un disegno tutto verde. Ogni gesto nell’uomo, anche il più umile, è sempre anche espressione del suo spirito, della sua anima. Non c’è moto dell’anima che non faccia muovere, vibrare, il corpo di un uomo.
Ecco perché pregare accanto alla salma di un nostro caro non è un dovere sociale ma una necessità. Ecco perché accarezziamo la fronte, le dita, di un morto in quello che è un vero e proprio saluto. Ed è straziante perché è l’ultimo. Ecco perché anche i più forti, i più pudichi dei propri sentimenti, al momento della chiusura della bara, cedono o escono dalla stanza per non cedere. È l’ultima volta che guardano quel viso.
Cosa cambia per la fede, per la resurrezione, per la Chiesa insomma, se mi voglio far cremare? Nulla. E infatti si può fare. È un’inutile questione teologica? È teologica ma non è inutile. Davanti alla morte di chi amiamo si vede, si sente, si tocca, si gusta tutto l’amore che c’è e tutto il rimpianto per l’amore che non c’è stato o che è finito. Quel sostare accanto al feretro, ancora aperto o chiuso che sia, permette quel contatto necessario perché l’amore sia amore umano.
Amiamo solo con il corpo, con la presenza. Ecco perché non disperdere le ceneri nell’aria o nel mare. Chi si ama si custodisce, si incontra, si attende. I cimiteri non sono solo luoghi dell’addio ma luoghi dell’incontro. Non è religione teorica ma religione vera, legame vero. Provate a chiedere ad una madre qual è il peggior incubo. Non è la morte di un figlio. È la scomparsa.
Siamo fatti per stare insieme. Per sapere dove è l’altro. Ecco cosa vuol dire che l’amore è vita.
Che si vive solo amati e amando. Solo uniti. La morte non ha leggi a sé stanti: ha le leggi della vita.
Ogni uomo è un mondo di relazioni, di sentimenti, di pensieri, di vizi e virtù. Tutto questo un giorno sarà come fermo, fermato, silenzioso, e qualcuno si siederà, si inginocchierà accanto a noi per parlarci ancora, per parlare a Dio di noi, per parlare con noi. Si chiama pregare. Ha bisogno di un luogo, di una presenza. Finché è possibile preserviamo questo stare insieme. Non facciamo del mare, dell’aria, un monumento ai caduti. Lo si è fatto, e purtroppo lo si fa ancora, perché le guerre non finiscono: la piazza centrale col suo monumento ai caduti. Ma, appunto, quei morti non hanno una tomba perché sono dispersi. Se potessimo averli con noi, li faremmo riposare accanto a noi.