“L’assoluta imprevedibilità di questi eventi sismici non ci permette di dire dove e quando colpiranno di nuovo, cosa che sicuramente avverrà, magari fra qualche anno, ma questo è il destino di questa zona”. Così spiega il sismologo Claudio Eva, a cui si è rivolto ilsussidiario.net poche ore dopo il sisma di ieri, la scossa di terremoto di magnitudo (6,5) più forte dai tempi di quella dell’Irpinia nel 1980. Una zona ben circoscritta, tra i 30 e i 60 chilometri, quella dove dal 24 agosto scorso si stanno scatenando i terremoti, una zona per di più dove i centri abitati risalgono in gran parte al medioevo e che si stanno letteralmente sbriciolando. Nei giorni scorsi gli studiosi avevano avvertito gli amministratori di queste zone che esisteva il rischio di nuove scosse nel centro Italia: “Purtroppo si può operare solo a posteriori – ci ha detto ancora Eva – e in emergenza. La possibilità di decentrare le popolazioni non può essere presa in considerazione che a valle dell’evento. Farlo in anticipo significherebbe un problema colossale, evacuare cioè mezza Italia. E fino a quando? L’assoluta imprevedibilità dell’evento sismico impone che non si sappia dove e quando potrà essere il prossimo evento che colpirà sicuramente in questa zona, magari fra qualche anno”.



Si pensava che dopo i terremoti del 24 agosto e del 26 ottobre l’intensità degli eventi sarebbe andata a scemare. Invece c’è stato un sisma ancora più devastante. Che sta succedendo in quella zona d’Italia?

Ogni sequenza ha una sua storia e sviluppo particolare. Quello a cui stiamo assistendo è un sistema di fratture più o meno allineate una all’altra che si sono mosse in tempi concatenati fra di loro.



Ma come si spiega la magnitudo sviluppatasi ieri?

Se si vanno a verificare tutti gli eventi di magnitudo superiore ai 4 gradi verificatisi dopo il terremoto del 24 agosto si vedrà che si allineano su una struttura appenninica nord-nord ovest e sud sud-est. Si tratta di strutture appenniniche che sono correlate una sull’altra. Questa zona è tutta un insieme di fasce attive dal punto di vista della fagliazione, e stiamo assistendo a una nuova frantumazione. E’ anche una zona in forte movimento orizzontale per cui si vengono a causare fenomeni di tensione elevatissimi.

Una zona decisamente a rischio. Perché tutta questa energia si sta liberando in questo momento?



Lo spostamento appenninico è di circa 5 centimetri all’anno, costante, non siamo davanti a una casualità. Esiste infatti un campo di tensione in profondità che è enorme. Come dicevo prima, tutti questi terremoti si stanno svolgendo in modo allineato fra loro, non è una singola struttura che si è spezzettata. Teniamo conto che un sisma di magnitudo 6,5 gradi provoca una frattura dell’ordine dei 30 chilometri.

 

Ci spieghi nel dettaglio.

I due terremoti precedenti hanno creato un effetto domino per cui la frattura iniziale si è propagata partendo da sud e procedendo verso nord. Vale l’esempio di quanto successo in Emilia: cinque terremoti allineati che hanno definito lo spostamento della frattura iniziale di 40, 50 chilometri.

 

Siamo dunque in piena attività sismica. Nel caso dei terremoti in Iprinia e in Friuli era successo qualcosa di analogo?

Per quanto riguarda l’Irpinia no. Era un caso diverso legato alla profondità dell’evento, un fuoco sismico intorno ai 25 chilometri di profondità che ha dato una scossa violenta unitaria e alcune repliche gradualmente scemate. In Friuli invece abbiamo avuto il terremoto a maggio di magnitudo 6,4 e una grossa ripresa a settembre, con una magnitudo di 6,2 dunque a distanza di tre mesi e mezzo dal primo.

 

Che previsioni è possibile fare?

Stiamo assistendo a una continuità di eventi molto ravvicinata. Bisogna andare molto indietro nella storia sismica per ritrovare attività similari nell’Appennino. Al momento non ci sono evidenze che la sequenza sismica in corso sia in esaurimento. Ma questa è la storia di questa regione, adagiata su faglie appenniniche in continuo movimento da sempre.