“La mia vita e il mio atteggiamento nei confronti degli immigrati è cambiato il giorno in cui ho incontrato una ragazza congolese giunta a Palermo come tanti altri disgraziati. Pur essendo contenta di essere tra noi e di essere stata ben accolta nella nostra città, conservava un velo di tristezza. Quando ne chiesi il motivo, rispose in modo lapidario più o meno così: ‘Vivrò il resto dei miei giorni con il rimorso di non essere riuscita a salvare mia madre che viaggiava con me sullo stesso barcone. In un qualche modo è come se l’avessi uccisa io, che fortunatamente sono riuscita a giungere a terra’”.



Questa la testimonianza del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ieri nell’Aula magna del Liceo Umberto I nel corso della manifestazione per ricordare la giornata delle vittime dell’immigrazione, istituita dal nostro Parlamento.

L’iniziativa, promossa dall’Age (Associazione dei genitori) e dall’Anolf (Associazione nazionale oltre le frontiere) ha trovato ampio sostegno fra i docenti e gli studenti del liceo palermitano che nel corso della mattinata hanno potuto ascoltare le testimonianze di altri due importanti invitati: mons. Michele Pennisi, arcivescovo della diocesi di Monreale e responsabile della pastorale scolastica per la Conferenza episcopale siciliana e Adham Darawsha, presidente della Consulta comunale delle culture.



Anche mons. Pennisi è partito da una rievocazione personale. Ha raccontato come durante la visita dei vescovi della Sicilia occidentale a papa Francesco, nel maggio 2013, i presuli siciliani avessero descritto al Papa il dramma che vivevano le migliaia di persone che giungevano sulle coste.  “Il Papa — ha aggiunto l’arcivescovo — rimase molto colpito e disse: ‘Debbo dare un segnale forte!’ E questo segnale lo ha dato con la sua visita dell’8 luglio del 2013 a Lampedusa. Si è trattato di un gesto di vicinanza, che Francesco ha voluto anche per risvegliare le nostre coscienze affinché ciò che è accaduto non si ripeta”. Subito dopo ha ripreso l’interrogativo che il Papa più volte ha ripetuto: “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle?”. “Desidero ricordare — ha detto Pennisi — la sua risposta: ‘Non possiamo dire: Nessuno'”. 



Poi ha raccontato quanto ebbe modo di vivere in diretta il 3 ottobre del 2013. “Ero presente nella sala Clementina in occasione dell’udienza di Papa Francesco al Pontificio consiglio della giustizia e della pace di cui sono membro. Appresa la notizia del naufragio e dei morti disse subito: ‘È una vergogna’. Non è stato solo un atto di accusa verso i responsabili diretti o indiretti di questa tragedia, ma anche un atto di assunzione di responsabilità, di esame di coscienza, per tutti. Quando papa Francesco ha parlato di vergogna, ha parlato di un sentimento che non può non riguardarci tutti quanti”.

Altrettanto forti le parole usate dal sindaco Orlando per spiegare il senso della manifestazione e il ricordo dei morti in mare. Ha usato la parola “genocidio”, spiegando ai ragazzi la differenza tra quanto avvenuto per esempio nei campi di concentramento e quanto sta avvenendo oggi. “I nostri nonni — ha detto — forse non sono responsabili come noi. Forse loro non sapevano o non avevano piena consapevolezza. Noi non possiamo dire che non sapevamo. I numeri dei morti, almeno quelli accertati, sono sotto gli occhi di tutti”. Orlando ha poi espresso tutto il suo dissenso contro l’istituto del permesso di soggiorno, come ormai fa da oltre due anni. 

Su questo tema Adham Darawsha ha usato parole durissime. “E’ un permesso per ottenere il quale tutti sono disposi a tutto. Io sono nato a Nazaret — ha raccontato — e sono giunto a Palermo con Alitalia e non su un barcone. Sono venuto per studiare e adesso sono un medico della sanità pubblica. Quando ho ricevuto il permesso di soggiorno ho pianto e l’ho messo sul cuscino per tutta la prima notte. Era il raggiungimento di un obiettivo decisivo per il mio futuro. Pensate allora ai tanti che attendono anni per ottenerlo e poter finalmente uscire da uno stato di clandestinità”. Le sue parole più dure sono state rivolte alla legge Bossi-Fini, “vecchia di oltre 10 anni — ha spiegato —, figlia di un Governo in cui nessuno si riconosce, che i tanti Governi che si sono succeduti non sono stati in grado di cambiare, la quale si fondava su un presupposto inesistente, quello per cui per avere il permesso bisognasse avere un lavoro”.

I ragazzi del Liceo hanno proiettato un video sul tema dell’immigrazione con tante splendide testimonianze di immigrati giunti a Palermo con i quali portano avanti progetti di integrazione e scambi culturali che coinvolgono docenti e anche genitori.

Questa giornata è caduta all’indomani del referendum ungherese sull’immigrazione, che non ha raggiunto per poco il quorum del 50% dei votanti. Giuseppe Lupo, nella sua qualità di vice presidente dell’Assemblea regionale siciliana, lo ha ricordato nel suo intervento con poche ma significative cifre. “L’Ungheria — ha illustrato — conta una popolazione doppia di quella siciliana, circa 10 milioni di abitanti; le quote previste dall’Ue per quella nazione ammontano a 1.300 immigrati. Eppure è stata condotta una battaglia mediatica senza precedenti che ha portato comunque la quasi totalità dei votanti a dire no. Questo aspetto diventa dunque decisivo, anche in un paese come il nostro che vive una dimensione dell’accoglienza ben più grande e generosa”. 

Che fare, dunque? Questa domanda ha trovato ampia risposta nell’intervento di mons. Pennisi. “Il nostro compito di cristiani è quello dell’accoglienza, del prendersi cura di quanti giungono tra noi, vincendo il muro dell’indifferenza. Siamo chiamati a farci prossimo dell’altro, chiunque egli sia, da qualsiasi parte arrivi, qualsiasi problema porti, qualsiasi sia la difficoltà. Siamo chiamati a vedere in chiunque bussa alla mia porta i tratti di Gesù, che ha detto: Ero straniero e mi avete accolto”. Questo impegno richiede un cambiamento della persona. E a tal proposito ha detto l’arcivescovo di Monreale: “E’ necessaria una rivoluzione culturale. Occorre aprirsi alle logiche dell’accoglienza e della solidarietà. Tale nuova cultura potrà poi trovare supporto nella politica locale, nazionale, europea e mondiale, che non ha ancora provveduto a sviluppare corrette politiche di accoglienza e integrazione, capaci di dare una risposta virtuosa al fenomeno”. E poi, rivolgendosi ai giovani presenti, l’ultimo affondo: “Bisogna adoperarsi per una nuova cultura che non consideri i migranti mezzi di produzione, ma uomini dotati della dignità di figli di Dio e soggetti di diritti inalienabili. Credo che l’unica maniera umana di accogliere queste persone consista nel tentativo di integrarle sul territorio, attraverso strutture piccole, a misura d’uomo, in grado di far fronte alle esigenze di tutti”.

Un impegno per tutti e una responsabilità per ciascuno, che il preside dell’Istituto ha raccolto alla fine invitando gli studenti a proseguire nel percorso già portato avanti e ricordando quanto aveva prima affermato mons. Pennisi citando padre Puglisi: “Se ognuno fa qualcosa, allora possiamo fare molto…“. Ed il primo modo di aiutare gli altri è fare bene il proprio compito, a cominciare dall’essere studente.