Il premio Nobel per la pace 2016 è stato assegnato al presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, protagonista del processo di pacificazione culminato il 26 settembre a Bogotà con la firma ufficiale e pubblica degli accordi con il leader delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) Rodrigo Londoño Echeverri, nome di battaglia Timochenko, conclusi a L’Avana alla presenza di Raoul Castro e Ban Ki-moon il 23 giugno scorso. Il conflitto tra lo Stato e l’esercito guerrigliero era in corso da mezzo secolo ed ha causato qualcosa come 200mila morti. I negoziati sono durati 4 anni. Tutti i precedenti tentativi erano falliti.



Santos, leader del Partito sociale di unità nazionale, di centro-destra, presidente dal 2010, è al secondo mandato. Nei primi anni ha combattuto con energia le Farc, trovandosi nel bel mezzo di un conflitto acutizzato dalle maniere forti del suo predecessore. Ma ha saputo costruire le condizioni per un negoziato che ha avuto successo. Dall’altra parte le Farc, attive dal 1964, hanno 10-15mila combattenti e il controllo di parti del territorio, quasi come fossero uno Stato vero e proprio. Riscuotono tasse dai ricchi, compresi i narcotrafficanti e fanno da sindacato ai contadini che forniscono loro la materia prima. Gli Stati Uniti li hanno iscritti nelle lista nera dei terroristi. I paesi latinoamericani no, li considerano come essi stessi si definiscono, combattenti guerriglieri. L’Unione europea prima li ha messi nella lista dei terroristi, poi li ha tolti. No comment. In ogni caso le Farc sono una potenza, la più longeva delle formazioni combattenti. A buon diritto l’accordo si può definire storico.



Si direbbe dunque che stavolta i cinque saggi del Comitato eletti dal parlamento svedese, ci abbiano preso. Questa volta non sembrano essersi messi al riparo del potere Usa, né dell’innocua ovvietà Onu, né del politically correct del momento. Tanto per ricordare: gli Stati Uniti hanno avuto 24 premi Nobel per la pace (l’alleato Regno Unito 10, la Francia 7, tutti gli altri 1 o 2). Tra i Nobel Usa, ben 4 presidenti: Roosevelt, Wilson, Carter e Obama. Poi, per dire, un Kissinger nel ’73 perché ha fatto la pace col Vietnam (dopo aver perso la guerra) e intanto Washington sosteneva il colpo di Stato di Pinochet in Cile contro  l’assassinato Allende; un Al Gore nel 2007 per meriti ecologici, che con la pace lo sa Oslo cosa c’entrano; infine, il sullodato Barack Obama, nel 2009, da poco insediato nello studio ovale, per meriti non ancora acquisiti ma previsti, verosimilmente con la consulenza del Mago Otelma. Praticamente gli hanno dato non un Premio ma un Future. Quanto poi la previsione sia stata azzeccata, lo si misura da quanta pace abbia seminato l’azione della Casa Bianca nell’Africa settentrionale e del Medio Oriente da allora ad oggi… 



Altre 10 volte il Nobel è andato alle Nazioni Unite, che è come dare l’indennità speciale di guida a chi di mestiere fa l’autista. Il trionfo dell’ovvio inutile. Nel 2012, ricordate?, grandi meriti per la pace furono riconosciuti anche all’Unione europea: appena in tempo prima che spuntassero muri e reticolati anti-profughi che sono assai poco pacifisti. Imbarazzante il raffronto con grandi Nobel del passato anche recente come Begin e Sadat, Sacharov, Albert Schweitzer, Luther King, Lech Walesa, Madre Teresa di Calcutta, Nelson Mandela per citarne solo alcuni. Visto da Oslo il mondo a volte è strano.

Tutto ciò per dire che Nobel è bello ma non tutti i Nobel sono uguali. Quello assegnato a Santos si direbbe appropriato e anche in certo modo coraggioso, perché è stato assegnato nonostante il guaio del referendum popolare che, domenica scorsa, ha sorprendentemente bocciato gli accordi di pace sottoscritti e acclamati dalla folla festante. Perciò non piove sul bagnato, tutt’altro: il riconoscimento assume anche una funzione di sostegno e di incoraggiamento alla volontà di riconciliazione di Santos e di “Timochenko”. Proprio ieri in un comunicato congiunto che lascia ben sperare, i negoziatori dello Stato e delle Farc hanno confermato il cessate il fuoco e l’apertura a nuove trattative.

Che poi il Nobel non sia stato assegnato anche al capo delle Farc, è un problema che ha posto la Betancourt, a suo tempo ostaggio delle stesse Farc, ma che non turba il comandante Timochenko: “L’unico premio al quale aspiriamo è quello della pace con giustizia sociale, senza paramilitarismo, senza rappresaglie e senza menzogne”, ha dichiarato l’inossidabile Rodrigo Londoño (140 caratteri, su twitter: tablet e moschetto guerrigliero perfetto).

C’è da sperare che non sia troppo ottimista la Betancourt quando esulta: “Con questo premio Nobel si annientano le forze oscure che volevano far affondare il progetto di pace”.