“Non siamo in guerra, mi stupisce che il sindaco Sala pensi allo stesso tipo di soluzione della giunta Moratti, portare l’esercito per strada”: Mahmoud Asfa, responsabile del Casa della Cultura Musulmana di Via Padova boccia senza esitazione quanto annunciato dal sindaco di Milano dopo i recenti episodi di violenza (un morto) da parte di alcuni sudamericani residenti in quella zona. “Bisogna certamente aumentare i controlli” ha detto a ilsussidiario.net “perché esiste una situazione problematica dovuta allo spaccio di droga e al comportamento molesto di alcuni appartenenti alla comunità sudamericana che negli ultimi anni in Viale Padova è aumentata vistosamente, ma bisogna soprattutto intervenire sul piano sociale. Manca qualunque tipo di intervento che favorisca l’inclusione, l’integrazione, l’educazione”. Mahmoud Asfa si è anche fatto portavoce di un appello alla comunità islamica a partecipare alla prossima Colletta organizzata in tutta Italia dalla Fondazione Banco Alimentare il 26 novembre. 



Com’è la situazione reale in Via Padova alla luce degli ultimi episodi di violenza?

Ci sono zone, specialmente da Piazzale Loreto fino al cavalcavia di Viale Padova, dove sono necessari maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine. C’è spaccio di droga per le strade, ci sono gruppi di persone che si ubriacano scatenando risse e sporcando i marciapiedi con bottiglie sfasciate. In realtà si parla sempre male di Viale Padova ma ci sono altre zone di Milano che sono messe peggio.



Mandare l’esercito come chiesto dal sindaco le sembra dunque eccessivo?

E’ certamente eccessivo, non siamo in una zona di guerra. Basta mandare maggiori pattuglie di polizia e di vigili a controllare certe zone.

Come sono i rapporti fra la comunità islamica e quella sudamericana?

Dopo l’episodio accaduto nel 2010, quando un sudamericano uccise un egiziano, non si sono più verificati incidenti. La vera soluzione è agire su due piani: maggiore sicurezza e progetti di inserimento sociale. Ma questi ultimi mancano completamente. La sicurezza si ottiene facendo progetti sociali educativi di inserimento e inclusione, altrimenti è inevitabile che gruppi di persone emarginate si riversino per strada provocando episodi di violenza. Questi progetti però mancano del tutto.



Voi con la Casa della Cultura Islamica avete dato un buon esempio in questo senso. Vi sentite integrati nella realtà milanese?

La nostra presenza in Via Padova è fondamentale. Abbiamo lavorato moltissimo quando si verificò l’omicidio di quell’egiziano, spiegando ai nostri fedeli che questo è un paese civile dove la giustizia si occupa di queste situazioni. Abbiamo fatto da pompieri per calmare gli animi. Il nostro centro poi si occupa di tante situazioni di disagio intervenendo per risolverle. Abbiamo ottimi rapporti di collaborazione con altre associazioni di quartiere e ogni anno circa 50 scuole vengono a visitare la nostra comunità. Così si costruisce integrazione.

Lei ha fatto un invito molto importante alla sua comunità, a proposito della prossima Colletta del Banco Alimentare. Come è stato accolto dai suoi fedeli l’invito a prendervi parte?

E’ stato accolto in modo molto positivo, sono tanti i giovani che vogliono partecipare e tante le famiglie che si sono dette disponibili a donare cibo ai bisognosi. Guardiamo con entusiasmo a questa iniziativa per imparare a collaborare per il bene della città. 

 

I poveri sono poveri e non guardano le differenze di religione, è d’accordo?

Certamente, la colletta alimentare deve diventare un esempio a collaborare per il bene comune per tutto l’anno, non solo un giorno.

 

C’era stato un progetto per costruire una moschea proprio in Via Padova, ma non si è fatto niente. Cosa chiedete in proposito?

Bisogna che il comune prenda una decisione, ma nessuno di noi sa cosa vogliano fare davvero. Non siamo d’accordo con una moschea unica per tutta la città, a Milano gli islamici sono circa 100mila, farli muovere tutti per andare in un posto solo creerebbe forti disagi a tutti. Ci vogliono piccole moschee di quartiere.

 

C’è però parte della cittadinanza che guarda di malumore questa prospettiva.

Milano è una città internazionale, siamo stufi di essere trattati così, specie i giovani di seconda generazione che sono nati qui e si sentono cittadini di serie B senza gli stessi diritti dei loro amici cristiani o ebrei che hanno luoghi di culto.

 

Come si vince questa diffidenza?

Il fondamentalismo aumenta quando non si riconoscono i diritti o quando ci si sente esclusi o considerati cittadini inferiori. Questo devono capire i milanesi. Si devono fare moschee trasparenti con i necessari controlli di sicurezza: è più sicuro così che far pregare la gente negli scantinati o nei garage senza nessun controllo.

 

A chi dice che l’islam moderato non prende posizione contro il fondamentalismo cosa risponde?

Che non è vero. Nei nostri sermoni parliamo sempre di questo e del rispetto della legge e delle regole. Certi politici non conoscono il nostro impegno quotidiano e sfruttano le paure della gente per il loro tornaconto elettorale.

(Paolo Vites)