Italia e Giappone in questi giorni si sono incontrati nel nome del gusto. Martedì mattina, a Tokyo, con Masuhiro Yamamoto, famoso critico gastronomico giapponese che ha contribuito al documentario di sushi Jiro, abbiamo parlato dell’evoluzione della cucina italiana e giapponese negli ultimi 40 anni. E partendo da alcuni dati di import ed export di prodotti alimentari tra Italia e Giappone si nota subito come la popolazione giapponese sia amante del cibo italiano, tanto che nei primi 9 mesi del 2016 sono stati importati oltre 79.000 tonnellate di prodotti alimentari italiani.. Per quanto riguarda frutta e verdura, categoria conteggiata a parte, da gennaio a settembre 2016 ne sono stati importati 99.415.529 Kg. Invece il dato di prodotti alimentari esportati dal Giappone all’Italia da gennaio a settembre 2016 è decisamente inferiore: 589 tonnellate totali (cereali, spezie, caffè etc.. ) e frutta e verdura 63.463 Kg. (Fonte dati: Agenzia doganale Giapponese). In totale il giro d’affari per l’import e l’export tra Italia e Giappone nel settore food da gennaio a settembre 2016 è stato di oltre 41miliardi di yen, oltre 350 milioni di euro.
Ma come cambia la cucina nel tempo? Secondo Masuhiro Yamamoto la cucina Giapponese – come quella italiana – segue molto la stagionalità. Tuttavia, col passare degli anni in Giappone si è verificato un allungamento del periodo estivo a sfavore di quello invernale. Questo ha portato un cambio radicale nella scelta degli ingredienti di stagione da parte degli chef giapponesi. A parte questo, la cucina giapponese non ha subìto grandi trasformazioni di stile nel corso degli anni.
“La nostra cucina non utilizza ingredienti come olio d’oliva, burro o altri condimenti che aiutano a fare esaltare il sapore degli ingredienti. La cucina giapponese da sempre è caratterizzata da leggerezza e negli anni questa tendenza non è cambiata. Forse l’unico cambiamento – ammette Yamamoto – è un tentativo di rendere più saporiti i nostri piatti per accontentare il palato di un pubblico straniero” .
Da noi, nell’arco di trent’anni e’ invece in atto una vera rivoluzione italiana, ad esempio dei negozi di alimentari che nel giro di un decennio sono diventati vere e proprie boutique del gusto: Ma sono nati anche nuovi format di locali. Uno è ispirato alla cucina di strada, che punta a offrire una specificità regionale, anche attraverso dei truck; l’altro sono le Ciberie, ovvero i negozi (pasticcerie, macellerie, panetterie, pescherie) che estendono la loro offerta dando da mangiare e da bere.
L’appuntamento di martedì, insieme al Gran Concorso di cucina 2016 (http://bit.ly/2fRJcaX) presieduto in giuria da Massobrio – è rientrato tra le iniziative promosse nell’ambito della settimana della cucina italiana in Giappone, inserita nel quadro del piano di azioni per il sostegno al settore agroalimentare e alla cucina italiana e del protocollo d’intesa per la Valorizzazione all’estero della Cucina Italiana di Qualità, sottoscritto lo scorso 15 marzo da MAECI, MIPAAF e MIUR. E in questo contesto, con collaborazione con la rivista Ryoritsushin si è svolta a Tokyo anche un’edizione small di Golosaria, con 10 prodotti italiani raccontati dal sottoscritto e altrettanti giapponesi abbinati a 20 vini emergenti del Sol Levante. Un successo siglato dalla partecipazione di molti giovani, cuochi (tra cui Mijamoto di Icaro e Masato Myane dell’Oste di Tokyo), giornalisti, importatori e operatori del settore, segno che la cucina italiana desta grande interesse in tutto il Pese.
Detto questo, il viaggio fra contadini, negozianti, cuochi, che è in corso in questi giorni mi sta portando a riflessioni che non immaginavo: l’offerta giapponese di qualità sta facendo grandi passi e già su alcuni aspetti è più avanti rispetto a modelli italiani che rischiano di diventare obsoleti nel breve periodo. Ma su questo ci risentiremo al mio ritorno.