L’immagine di una porta che si chiude è l’immagine della fine di qualche cosa. Magari anche bella ma, comunque, finita. Si spengono le luci, si fanno gli ultimi saluti, si chiude la porta.

Con il Giubileo avevamo aperto una porta che ieri il Papa ha chiuso. Però finisce il Giubileo ma non finisce la Misericordia (e per questo domani il Papa farà conoscerà la sua ultima Lettera apostolica dal significativo titolo di Misericordia et misera).



Quest’anno la Misericordia è servito appena a balbettarla. È stato un anno di riscaldamento, se preferiamo la metafora sportiva. È adesso che la gara inizia per davvero.

Non avremo bisogno di un anno perché la misericordia di Dio è così piccola da poter essere vissuta anche in un solo giorno, anche in un solo istante. Basta un piccolo gesto di bontà, tenerezza, custodia, amore, amicizia, sollecitudine.



La misericordia di cui ora celebriamo la fine e contemporaneamente l’inizio è la declinazione infinitamente fantasiosa della parola carità. Solo in cielo sapremo veramente cosa voleva dire amare ma quaggiù possiamo goderne già sapore e profumo se, chiusa quella porta, apriremo cuori e mani.

Un ragazzo ieri, con la tipica lingua a sciabola dei ragazzi che tranciano giudizi mi diceva: quella famiglia è una di quelle che fanno una settimana l’anno di volontariato in Africa, lo postano su Facebook e poi per tutto l’anno stanno a posto.

Siamo così? Come questo impietoso giudizio adolescenziale? Se sì c’è una buona notizia: per la misericordia siamo ancora in tempo.



“Il Giubileo? Non ho fatto un piano. Le cose sono venute. Semplicemente mi sono lasciato portare dallo Spirito. La Chiesa è il Vangelo, non è un cammino di idee. Questo Anno sulla misericordia è un processo maturato nel tempo, dal Concilio… Anche in campo ecumenico il cammino viene da lontano, con i passi dei miei predecessori. Questo è il cammino della Chiesa. Non sono io. Non ho dato nessuna accelerazione. Nella misura in cui andiamo avanti, il cammino sembra andare più veloce, è il motus in fine velocior“, ha detto il Papa nella recente intervista ad Avvenire.

Lasciamo venire le cose. Le cose di Dio conoscono strade, logiche, passi, che noi non conosciamo nel concreto ma sappiamo, in generale, che sono le strade, le logiche, i passi di un padre.

E quale padre fa sbagliare strada al figlio? Quale padre inganna un figlio? Quale padre fa inciampare un figlio? Andiamo avanti e il tempo ci seguirà né troppo lento né troppo veloce. Sarà solo presente. Tutto da vivere, tutto da seminare, tutto da sperare, tutto da attendere, tutto da stare.  

“Chi scopre di essere molto amato comincia a uscire dalla solitudine cattiva, dalla separazione che porta a odiare gli altri e se stessi. Spero che tante persone abbiano scoperto di essere molto amate da Gesù e si siano lasciate abbracciare da Lui. La misericordia è il nome di Dio ed è anche la sua debolezza, il suo punto debole. La sua misericordia lo porta sempre al perdono, a dimenticarsi dei nostri peccati. A me piace pensare che l’Onnipotente ha una cattiva memoria. Una volta che ti perdona, si dimentica. Perché è felice di perdonare. Per me questo basta. Come per la donna adultera del Vangelo ‘che ha molto amato’. ‘Perché Lui ha molto amato’. Tutto il cristianesimo è qui.

Non ci avevo mai pensato che Gesù e l’adultera avessero entrambi “molto amato”. Eppure lo dice il Papa, anzi lo dice il vangelo: Gesù e l’adultera sono diversi in tutto ma uguali nell’amore, entrambi hanno molto amato.

Di tutto questo giubileo vorrei che mi rimanesse appiccicato, interiorizzato, questo sentirmi uguale a Dio almeno in qualcosa, anche piccolo, anche piccolissimo, ma qualcosa di uguale: l’amore. E da lì sentire la debolezza di Dio e picchiare duro. Sulla Sua misericordia. Chiusa una porta si apre un portone, dice il detto. Il Papa chiude una porta ma si apre un portone. Voglio che sia vero anche per l’anno di Misericordia che finisce. Che si apra per tutti qualcosa di ancora più grande.

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