E’ uscita ieri la Lettera Apostolica Misericordia et misera che papa Francesco ha pubblicato a conclusione del Giubileo. Il titolo, mutuato da sant’Agostino, era stato, in qualche modo, anticipato nell’intervista che Francesco aveva rilasciato ad Andrea Tornielli: Il nome di Dio è Misericordia (Piemme 2016). Il Pontefice affermava allora che “Nel suo Pensiero alla morte il beato Paolo VI rivelava il fondamento della sua vita spirituale, nella sintesi proposta da sant’Agostino: miseria e misericordia” (p. 22). Nella Lettera Apostolica il Papa scrive: “Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: ‘Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia’”.
Questo episodio viene affiancato, nella Lettera, ad un altro narrato da Luca, quello della peccatrice che lava con le sue lacrime ed asciuga con i suoi capelli i piedi di Gesù ospite nella casa del fariseo. Due donne, forse ambedue prostitute al pari delle due le cui vicende sono raccontate dal Papa nell’intervista a Tornielli. Due esempi della misericordia di Dio, del perdono e dell’amore di Gesù per i peccatori.
Per Francesco questi esempi mostrano il volto di Dio, il volto che la Chiesa deve guardare oggi più che mai per testimoniarLo in un mondo congelato, dominato da una mentalità tecnico-utilitaristica che non conosce gratuità. Un mondo violento dove l’amore è confuso con l’eros ed il possesso.
Contrariamente a quello che affermano i suoi critici Francesco non è un “buonista”, un ingenuo adulatore del mondo odierno. Al contrario ha una visione drammatica dell’ora presente: quella di un mondo senza legami contrassegnato da una terza guerra mondiale a pezzetti. Personalmente Jorge Mario Bergoglio non si concepisce come “buono” ma come un povero peccatore a cui Dio ha guardato con misericordia. E’ la definizione di sé che ha offerto a Padre Antonio Spadaro nell’intervista per La Civiltà Cattolica. Per questo gli è cara la “Conversione di Matteo” del Caravaggio. Per questo ogni volta che incontra i carcerati si chiede: “Perché non io?”.
Ne Il nome di Dio è Misericordia il Papa afferma: “La centralità della Misericordia, che per me rappresenta il messaggio più importante di Gesù, posso dire che è cresciuta piano piano nella mia vita sacerdotale, come la conseguenza della mia esperienza di confessore, delle tante storie positive e belle che ho conosciuto” (p. 21). Si riferisce, probabilmente, alla sua esperienza maturata nel suo “esilio” di Cordoba, la città argentina in cui ha risieduto dal giugno 1990 al maggio 1992. Qui, privato di ogni incarico, lui che a 36 anni era stato Provinciale dei gesuiti in Argentina, trascorre un periodo di dura prova.
Come narra il suo biografo Austen Ivereigh: “Il suo principale compito quotidiano era quello di confessore. Passava ore e ore ad ascoltare le sofferenze e i sensi di colpa degli studenti e dei professori dell’università, ma anche della gente dei barrios che arrivava nel centro della città perché i preti dei quartieri poveri la domenica erano troppo impegnati a dire messa per ascoltarne le confessioni. Bergoglio non aveva mai dedicato così tanto tempo a farsi strumento e veicolo del perdono e della misericordia. Questo lo ammorbidì, lo tenne vicino al pueblo fiel e lo aiutò a considerare i propri problemi da una prospettiva migliore” (Tempo di Misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, Mondadori 2014, pp.239-240).
Bergoglio è divenuto il Papa della misericordia anche perché, in un momento delicato della sua vita, ha vissuto l’esperienza della confessione. Ha toccato con mano come il perdono di Dio fosse in grado di sanare e di risollevare vite calate nella disperazione, chiuse nel proprio male, schiave di un passato che non tramontava.
Questa esperienza fa comprendere la centralità che ha il sacramento del perdono nell’ottica del Pontefice, una centralità che è stata al centro del Giubileo e che ora, con la Lettera Apostolica, prosegue oltre. Per questo uno dei punti cardine della Lettera è l’estensione ai sacerdoti, e non semplicemente al vescovo, del permesso di assolvere coloro che hanno praticato l’aborto, le donne al pari del personale medico coinvolto. “In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti — scrive il Papa —, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”.
La dichiarazione della Lettera Apostolica farà discutere. I critici del Papa rilanceranno la loro litania su un Pontefice troppo permissivo, su una Misericordia che trascura la legge, su un perdono che sminuisce il rilievo grave del peccato. In realtà il Papa non ha fatto altro che estendere a tutti il sacerdoti quel potere di assolvere da un peccato grave, quale l’aborto è, un privilegio che il vescovo poteva già accordare a taluni presbiteri. Ora questo privilegio è esteso a tutti. Con ciò non si favorisce il permissivismo — l’aborto, al pari di ogni omicidio, richiede un reale pentimento — bensì si rende manifesto, in forma ancora più evidente, il volto misericordioso di Dio che non arretra di fronte ad alcun peccato. E’ la strada che Francesco ha indicato per la Chiesa di oggi e di domani.