E noi sempre qui a discutere di numeri. Quanti sono, se sono di più o di meno dell’anno scorso. E quanto ci costa andarli a ripescare, e quanto ci costa poi doverli pure mantenere. E quanti soldi alla Turchia per chiudere la via balcanica. E quanti sono quelli che hanno cambiato rotta e si riversano sulla via mediterranea, cioè su di noi? E, d’accordo, anche quanti ne sono morti in mare, di questi migranti. Quanti? Quest’anno più di 4mila; 14mila nell’ultimo decennio. Leggero moto di pietà per il mega-cimitero sommerso: che brutta fine.
Poi putacaso ti giunge una notizia che sembra da nulla, un’inezia in mezzo al quotidiano abitudinario flusso di resoconti di barconi rovesciati — tot salvati, tot cadaveri recuperati, tot dispersi — che, se ci fai caso un attimo, ti strappa dalla logica dei numeri di massa e di ricongiunge all’umano della persona. L'”inezia” è questa. Ieri su un maledetto scalcagnato gommone una giovane mamma (sui trent’anni, verosimilmente del Mali) è morta schiacciata da altri migranti che si ammassavano a prua dell’imbarcazione che, verso poppa, si stava spezzando. E’ morta schiacciata, lei, facendo del corpo scudo per proteggere i suoi due bambini, una femminuccia di nove anni e un maschietto di sei. Ha dato la vita per i suoi figli. I quali poi l’hanno vegliata per il resto del tempo della traversata sino al salvataggio da parte della nave Hos Hestia di Save the Children, come due piccoli angeli custodi a proteggere quello che dapprima credevano essere il sonno di una donna spossata e che presto però compresero essere il corpo morto della loro mamma. Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi. Lo comprese Foscolo, che non era esattamente un cattolicone, possiamo ben comprenderlo anche noi: celeste perché la vita, ogni vita, e questa capacità di amore, è rapporto con l’infinito, non anonima particella di un insieme numerico. La mamma martire per i suoi figli certifica che lassù Qualcuno li ama. E i bimbi angeli custodi della loro mamma nel sonno e nella morte certificano che lassù Qualcuno la ama. E perciò anche quaggiù…
Dallo stramaledetto barcone di cattiva gomma maleodorante di cattivo gasolio ci arriva il profumo di una grande testimonianza. Arriva a noi, dopo essere arrivato, benefico, ai disperati compagni di viaggio. “Quando si è accasciata — hanno raccontato — pensavamo fosse svenuta. Poi ci siamo accorti che era morta e lo scafista voleva farci gettare il corpo in mare ma ci siamo rifiutati. Ai bambini abbiamo detto che la loro mamma stava dormendo, ma poi hanno capito”.
I bambini intanto sono stati accolti dalle amorevoli suore del Sacro Cuore di Ragusa, nella speranza che un numero che sembrerebbe di cellulare scritto a penna sull’orlo dei pantaloni della più grandicella aiuti a rintracciare qualcuno dei familiari. Vengon buoni anche i cellulari in questa storia di tragedia e d’amore.
E vengon buoni anche i selfie. Dei quali ho sempre pensato quel che Giorgio Gaber pensava di sport un tantino snob come lo squash e il cricket: “Per praticarli non è che sia proprio necessario essere deficienti, però aiuta”. Mi ricredo sul selfie, o meglio faccio un’eccezione in questo caso. Infatti è grazie al selfie scattato da uno dei migranti che i poliziotti della squadra mobile di Ragusa hanno potuto individuare lo scafista. Messi di fronte a quella foto altri migranti, che inizialmente s’erano rifiutati di collaborare con le forze dell’ordine, hanno confermato l’identificazione del negriero, finito vivaddio nel gabbio.
La nave con i salvati e la mamma morta è approdata a Pozzallo, paesottone marittimo dell’estremo sud della Sicilia, contornato da eccezionali bellezze naturali e artistiche, i campi di pomodori di Pachino e i capolavori del barocco ragusano di Modica, Noto, Scicli, beneaugurante documento della rinascita dopo il terribile terremoto del 1693. E poi, putacaso, a Pachino nacque Giorgio La Pira, uomo politico cristiano, sindaco di Firenze negli anni Cinquanta e Sessanta, inventore dei Convegni per la pace nel Mediterraneo e nel mondo, sempre coraggiosamente attento ai bisognosi. Una volta disse parlando della sua città in risposta a chi criticava la sua sensibilità sociale: “Diecimila disoccupati, tremila sfrattati, 17mila libretti di povertà: cosa deve fare il sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”.